giovedì 25 maggio 2017

Il diagramma di Feynman dei comportamenti stupidi

Rivoluzionaria scoperta nel campo della fisica sistemica delle organizzazioni, finalmente svelato il diagramma di Feynman dei comportamenti stupidi (nella accezione gumpiana di “stupido è chi stupido fa”).

Nella teoria quantistica dei campi il Diagramma di Feynman fu inventato da Richard Feynman negli anni quaranta.

L'idea di fondo del diagramma è di tradurre una interazione tra particelle elementari in un semplice schema, per permettere una facile comprensione del fenomeno descritto. Questi diagrammi sono composti da segni convenzionali, quali ad esempio linee rette e ondulate, disposte secondo uno schema preciso e con un preciso significato.
Ogni particella è descritta da una linea differente e diverse particelle sono descritte da diversi tipi di linee:
·         il fotone, mediatore dell'interazione elettromagnetica, si indica con una linea ondulata;
·         bosoni W e Z, mediatori dell'interazione nucleare debole, si indicano con delle linee tratteggiate;
·         gluoni, mediatori della interazione nucleare forte si indicano con una linea a molla;
·         leptoni, gli adroni e i quark si indicano con linee continue.

Come detto il diagramma rappresenta l'evoluzione temporale e spaziale dell'interazione: ecco un semplice schema per comprendere meglio quello che succede durante una interazione e per capire meglio come interpretare i diagrammi.
In questo caso l'interazione rappresentata è:


ed il diagramma corrispondente è:


I due elettroni si avvicinano l'uno all'altro e ad un certo istante uno dei due elettroni emette un fotone, che viene assorbito, dopo un tempo Dt dal secondo elettrone.

La fisica sistemica delle organizzazioni si prefigge lo scopo di studiare le leggi che governano le organizzazioni. I diagrammi di Feynman sembrano uno strumento ineguagliabile per capacità di sintesi , efficacia e precisione per descrivere i fenomeni organizzativi che nascono dalle interazioni tra le “particelle organizzative”.

Perché è così importante trovare una descrizione dei fenomeni, per il semplice fatto che sembra inspiegabile come una massa enorme e densa di neuroni (una delle particelle organizzative in gioco) presenti nelle organizzazioni possa produrre comportamenti stupidi. Partendo della definizione data dal fisico israeliano Eli Goldratt (fondatore della TOC – Theory of Constraints) : l’ignoranza è una condizine, la stupidità è una scelta, ci si è posti la domanda di cui sopra.

Quali sono le particelle organizzative che interagiscono, oltre ai neuroni, e la cui interazione produce comportamenti stupidi. Poiché i diagrammi di Feynamn si applicano alle particelle elementari il primo passo consiste nel individuare le particelle organizzative elementari. Oltre ai neuroni ne sono state “isolate” altre:

i pregiudizi, idee preconcette che albergano nelle persone e che intervengono nella produzione di comportamenti e decisioni (rappresentati dalla lettera p)

bias cognitivi e archetipi, al momento considerate particelle elementari , probabilmente ricerche più approfondite faranno luce sulla loro reale natura, sono particelle organizzative elementari o a lor volta (come i quark nei confronti delle altre particelle) risultato dell’interazione di altre particelle finora sconosciute. Rappresentati dal simbolo Ă

Eventi fisici (fatti). Rappresentati dai simboli F+ e F-

Comportamenti stupidi, rappresentati dal simbolo

Il diagramma di Feynman dei comportamenti stupidi è il seguente:

Si legge così: due fatti provenienti dal passato (esperienza) collidono, uno dei due fatti rilascia un pregiudizio che produce da un lato un comportamento stupido e dall’altro il rinforzo di un archetipo.


Certamente questo è solo un primo risultato, incompleto e migliorabile, ma è il primo risultato tangibile della applicabilità della fisica sistemica delle organizzazioni.  

Aver capito il meccanismo dei comportamenti stupidi e quale sia la particella organizzativa p che li veicola è fondamentale per escogitare le contromisure, ovvero come impedire che si attivi la particella veicolante e si produca questa dannosa interazione.

venerdì 10 giugno 2016

I gioielli della corona – una “parure” di strumenti sistemici per liberare il valore intrappolato.

DFC – CARTE DI CONTROLLO – UDEs – CRT (CURRENT REALITY TREE)

Immaginate un incarico di consulenza come un volo con Ryanair, che vi obblighi a portare pochissimo “bagaglio a mano”, di poter portare con voi solo pochi strumenti,  quali portereste? La mia scelta ricade sui 4 che ho soprannominato “i gioielli della corona”, se me li portassero via sarebbe come rubare i gioielli della corona britannica, una tragedia nazionale. E’ una scelta partigiana, d’altra parte le scelte sono partigiane per definizione.

Per gli amanti dei fumetti Marvel potrebbero essere i Fantastici 4 (anche se io ho sempre preferito il mitico Thor!!), li elenco in ordine sparso:

DFC – diagrammi di flusso dispiegato
SPC (carte di controllo) – controllo statistico di processo
UDEs – effetti indesiderati
CRT – albero della realtà corrente

Non provengono tutti dalla stessa fonte, hanno età diverse (ci sono gli ultranovantenni e i poco più che maggiorenni), hanno in comune la visione sistemica delle organizzazioni; visione sistemica significa aver capito che il miglioramento dell’organizzazione dipende molto di più da quanto funzionano bene le interdipendenze che da quanto bene funziona ogni singola area aziendale.

Allacciatevi le cinture, faremo conoscenza dei loro “poteri” con un piccolo caso aziendale.

In New Economics for Industry, Government, Education c , Deming dice che il Diagramma di Flusso in Figura 1 era: "...la scintilla che a partire dal 1950 e negli anni successivi modificò profondamente il Giappone. Il Diagramma di Flusso fornì al top management e agli ingegneri un sistema di produzione. I Giapponesi avevano conoscenza, grande conoscenza, ma era frammentata, non coordinata. Il Diagramma di Flusso indirizzò la loro conoscenza e i loro sforzi verso un sistema produttivo orientato al mercato – cioè indirizzato a comprendere i bisogni dei clienti. Tutto il mondo sa quali sono stati i risultati."

Questo semplice Diagramma di Flusso era sulla lavagna in ogni conferenza del top management a partire dal 1950.

Un Diagramma di Flusso rappresenta un processo esattamente come una mappa. Tale rappresentazione

• descrive il flusso di materiali, informazioni e documenti;
• evidenzia le diverse attività che fanno parte del processo;
• mostra che le attività trasformano un input in un output;
• indica quali sono le decisioni che devono essere prese lungo la catena;
• dimostra le interrelazioni e interdipendenze essenziali tra le fasi del processo;
e ci ricorda che la forza di una catena dipende dal suo anello più debole.

La maggior parte dei processi oltrepassa i confini dipartimentali o funzionali per poter fornire prodotti/servizi al cliente, va oltre le gerarchie disegnate dall'organigramma.

I Diagrammi di Flusso sono dunque gli strumenti necessari a capire dove, come e se, gli anelli della catena aggiungono valore alla stessa. Poichè i confini fra i compiti sono definiti più chiaramente e la comprensione dei processi è facilitata le persone sono in grado di vedere esattamente qual è il loro contributo al raggiungimento dell'obiettivo del processo. Inoltre, "Un Diagramma di Flusso ci permette di sapere in anticipo, quali saranno le parti di un sistema che subiranno variazioni - e di che entità - a seguito di un cambiamento effettuato su uno o più parti dello stesso." E voilà…. Fatti non parole.

Quello rappresentato in figura è un flusso che viene attraversato un paio di centinaia di volte l’anno. Che coinvolge valore per 10 alla 8 euro. Che impegna 10 alla 3 persone. Sarebbe interessante poter predire i suoi effetti? Solo un folle o un amante del gioco d’azzardo direbbe di no.

Una volta disegnato è facile per tutti vedere in che punto del flusso si sta operando, quali sono le conseguenze delle proprie azioni, quali cambiamenti possono migliorare il flusso stesso.

Si possono prendere le misure ed essere sicuri che si sta utilizzando lo stesso metro di misura (un dfc è un po’ come il mitico metro di platino iridio di Sevre, il campione di riferimento universale).

Ad esempio su questo dfc si possono definire alcune misure:

il  tempo attraversamento reale (TAR)
il tempo attraversamento teorico (TAT)
Scostamento % = TAR –TAT / TAT

Migliorare i processi di management quindi consiste nel puntare continuamente alla perfezione, ma anche nel tentare di ridurre il più possibile la variabilità dell’output dei processi.

Quando otteniamo il controllo di un processo, possiamo prevedere accuratamente l’intervallo entro il quale varierà il nostro output. Questo è ciò che intendiamo quando diciamo che il nostro processo è in controllo.
In altre parole, possiamo prevedere ciò che il processo farà se rimane in controllo.
Perchè vorremo poter fare questo?

Se vogliamo essere i manager dei nostri processi piuttosto che le vittime, dobbiamo raggiungere questo controllo.
Quando diciamo che un processo è in controllo, non significa necessariamente che sia valido. “In controllo” significa solo che il processo è prevedibile. Può essere prevedibilmente scadente!
Può prevedibilmente produrre risultati di cui non siamo contenti.
Ma quando il nostro processo è in controllo, almeno capiamo meglio il suo comportamento e siamo quindi nella posizione di poter fare qualcosa a riguardo. Se il nostro output più prevedibile passa attraverso altre persone dell’azienda, allora anche il loro lavoro diventa più prevedibile. Essi possono fare affidamento su di noi. Non devono tener conto di un’ampia variabilità nel loro output.
Possono pianificare meglio il loro lavoro. Ogni cosa inizia a scorrere più tranquillamente. Possono passare ai loro clienti un prodotto o servizio migliore.
Migliorare il processo di management ha il doppio obiettivo di “ridurre la variabilità e puntare alla perfezione”

Per fare questo ci serve un metodo che si chiama SPC e che ha nella “carta di controllo” la sua manifestazione concreta. Per usarlo serve l’aritmetica delle elementari (somme, sottrazioni, moltiplicazioni, divisioni). I risultati sono strabilianti. La comprensione del processo è molto maggiore avendo sottomano una carta di controllo, ad esempio questa:

E se scopriamo che il nostro processo è predicibile MA produce anche UDEs (effetti indesiderati) cioè risultati non all'altezza delle aspettative (scarti, MUDA, inventory)? Non ci rimane che migliorare il processo, ma se la situazione è complessa (si veda il diagramma di flusso in figura) da dove comincio? Qual è il punto su cui fare leva per ottenere il miglior risultato con il minore sforzo? Come faccio a mettere d’accordo punti di vista differenti, di persone che vengono misurate in modo diverso?

E qui un colpo di genio, utilizzare gli “scarti” del processo, i nostri UDEs come materia prima del processo di miglioramento; la strumentazione che ci serve per mettere a fuoco il punto critico, per ridurre la complessità a semplicità, ce lo fornisce la TOC – Theory of Constraints, si chiama CRT (current reality tree – albero della realtà corrente).

IL CRT consente di scavare in profondità per risalire dai sintomi (UDEs) alle situazioni che li causano, è uno strumento che favorisce il lavoro di gruppo, che favorisce la verbalizzazione degli assunti (ricordate daniel kanheman e il suo libro pensieri lenti e veloci…) è uno strumento che ingegnerizza e ottimizza le tecniche dei “molti perché”.
Il CRT è una mappa causa effetto che collega il problema centrale (espresso sotto forma di conflitto – vedi post “il potere liberatorio del conflitto”) ai sintomi percepiti.
Una volta individuata la causa radice è possibile estirparla con tutti i sintomi (UDEs) ad essa collegati.
Ma il CRT fa anche di più, permette di misurare molto precisamente la quantità di cambiamento che le persone sono disposte a fare in cambio del miglioramento ottenibile. Permette di misurare quindi la portata del vero e unico fattore limitante una organizzazione, gli assunti delle persone che la compongono e in particolare di quelle persone cui è demandata la guida dell’organizzazione, il management.

Un CRT ha questa faccia:




Costruirlo è un lavoro alla portata di tutti, basta avere intuizione, esperienza della realtà che si vuole mappare, un po’ di tempo e qualche post-it.
Che cosa ottenete in cambio del tempo e dell’energia necessaria per costruire un CRT? Trovate la causa radice, la possibilità di ristrutturare il processo in modo tale che gli UDEs non si presentino più (fine dei MUDA, dell’inventory, degli scarti e delle rilavorazioni) e grazie a SPC sapete anche quanto vi stanno costando…. Calcolare il break even non è mai stato così facile….
Ottenete anche una grande coesione tra le persone, il CRT illustra molto bene la “prigione” in cui tutti sono rinchiusi e indica la strada per uscirne. Permette di spersonalizzare il problema, di coalizzarsi contro il problema comune.
Insomma permette di uscire dalla buca in cui siete e “tornare a riveder le stelle!

giovedì 19 maggio 2016

Il potere liberatorio del conflitto. Quentin Tarantino lo intitolerebbe “throughput (1) unchained”.

(1) Nella TOC – Theory of Constraints throughput è la misura del valore generato da una organizzazione. Nelle aziende profit è una performance economica che si ottiene sottraendo dai ricavi attraverso le vendite i costi totalmente variabili, nelle organizzazioni no profit va definita caso per caso.

Cercando su google la parola conflitto in cima alla prima pagina escono le definizioni di questo concetto in psicologia, sociologia, informatica. In tutte queste definizioni c’è una sfumatura di negatività. Conflitto è una situazione da evitare, quando appare all’orizzonte si cerca un riparo.

Sono sicuro che anche nelle discipline umanistiche che si occupano di conflitti, l’aspetto negativo sia più una apparenza che una sostanza, che in fondo il potere liberatorio del conflitto sia una ovvietà.

Nelle organizzazioni temo, basandomi solo sulla mia ridotta esperienza non posso assolutizzare, che la parola conflitto sia percepita negativamente.

Non è difficile capire perché.
  • Il conflitto è quasi sempre una situazione quotidiana nelle organizzazioni, la struttura stessa che hanno assunto (prevalentemente funzionale gerarchica) cozza sistematicamente con la necessità di fluidità interfunzionale, unica caratteristica che permette di stare sul mercato. Le strutture matriciali risolvono il problema solo in apparenza, in sostanza aumentano solo complessità e viscosità.
  • Nelle organizzazioni non c’è mai tempo per… qualcosa che non sia routine o reazione all’evento o gestione dell’emergenza. Figuriamoci per elaborare un conflitto con tempi e modalità che i film di Woody Allen ci fanno immaginare lunghissimi e inadatti a organizzazioni smart (se non hai un tubo da fare tutto il giorno te lo puoi permettere, ma qui si lavora…).
  • La complessità crescente (con complessità intendiamo il numero di interdipendenze che ogni persona dell’organizzazione è costretto ogni giorno a gestire) e la turbolenza dell’ambiente in cui l’organizzazione vive (il mercato in primis ma non solo quello) fanno apparire i conflitti insolubili o incomprensibili.
  • Come magistralmente illustrato da Daniel Kanheman (Titolo: pensieri lenti e veloci Mondadori editore ) il nostro cervello è costruito per andare svelto e consumare poco, ma c’è anche un effetto collaterale non sempre positivo; per andare svelto e consumare poco utilizza prevalentemente “mappe” (rappresentazioni concettuali della realtà) pre-esistenti, che non sono sempre aggiornate. In poche parole è costruito per favorire decisioni, scelte, azioni erronee (il classico prendere fischi per fiaschi).


Ricercare il conflitto come chiave di volta di un processo di miglioramento sembra contro intuitivo. E’ una delle architravi della TOC – theory of constraints. Il conflitto, i conflitti in generale sono per la TOC il/i fattori che limitano la capacità delle organizzazioni di fare più risultati di quelli che stanno facendo. Il conflitto imprigiona il valore potenziale. Solo mettendo a fuoco il conflitto si può iniziare un processo di miglioramento, si può liberare valore. La TOC fornisce la strumentazione adatta per questo compito, la volontà però ce la deve mettere l’organizzazione.

Non è una cosa che si vede tutti i giorni, sfidare il paradigma corrente. Quando accade provo sempre un brivido di piacere, orgoglio, soddisfazione.


Il solo aver disegnato la nuvola di conflitto ha permesso una cosa quasi incredibile, aver coalizzato contro un unico nemico (il conflitto appunto) due funzioni aziendali che facevano del “confronto serrato” una ragione di vita. Confronto serrato che ogni volta che si manifestava produceva una perdita per l’azienda (in ambito Lean MUDA in ambito TOC inventory).

Ma c’è di più, disegnare la nuvola di conflitto, completa di assunti, rende possibile scegliere tra diverse possibilità (in questo specifico caso ce ne almeno 4 differenti tra di loro) la direzione della soluzione, ovvero il modo più conveniente (in base al rapporto risultato ottenibile/sforzo necessario per ottenerlo) per eliminare alla radice il conflitto e le perdite connesse.

lunedì 25 aprile 2016

La TOC in un tweet (quasi)


 La Theory of Constraints (TOC) o Teoria dei Vincoli è una teoria di sistema che fornisce soluzioni e strumenti per generare valore attraverso la gestione ed il superamento dei fattori che limitano la crescita delle organizzazioni.
La TOC è stata divulgata al mondo da Eli Goldratt attraverso molti libri, il più famoso dei quali è “The Goal” (L’Obiettivo nella traduzione italiana), venduto in oltre quattro milioni di copie e tradotto in numerose lingue. Il libro diffonde in modo avvincente questa filosofia gestionale, completamente diversa da quanto mai studiato e proposto dalle organizzazioni industriali manifatturiere e dalle scuole di management.
L’impresa è concepita come un sistema complesso, composto da processi interdipendenti e correlati tra loro; il funzionamento dell’intero sistema è governato da pochi fattori, i constraint o vincoli, che ne determinano la prestazione. I constraint diventano le leve su cui agire per controllare il sistema e orientarlo al raggiungimento dell’obiettivo. All’inizio della storia la TOC non si chiamava così.
A metà degli anni ‘70 Eli Goldratt sviluppò su basi scientifiche un metodo (e un software a supporto) di sincronizzazione delle risorse produttive che rivoluzionò i correnti metodi di pianificazione della produzione. Diede inizio al Syncronous Manufacturing (SM) che, ancora oggi, è ritenuto universalmente la più potente e avanzata metodica di programmazione della produzione.  Per più di 10 anni le idee della futura TOC furono applicate da Goldratt e i suoi collaboratori quasi esclusivamente nell’ambito delle operations: produzione, logistica, ecc. Come sempre accade, a far terminare questa situazione fu la necessità. Il Syncronous Manufacturing faceva ottenere mirabolanti risultati solo se alla guida dell’azienda, seppure come consulenti, ci stavano Goldratt e i suoi. Lasciate a se stesse, le aziende non erano in grado di ottenere il meglio dal SM.
Per far crescere la sua azienda di consulenza e software, Goldratt si trovò obbligato a inventarsi un modo per trasferire la sua conoscenza, la sua capacità, il suo modo di pensare le imprese. D’altro canto, il segreto del SM non sta tanto negli algoritmi, che pur sono potenti, ma nel suo rivoluzionario modo di pensare i sistemi che è nascosto negli algoritmi (e quindi nel software) stessi. Per mostrare che ciò che proponeva era qualcosa di sostanzialmente nuovo, fu cambiato il nome e nacque la TOC.
Ci vollero 10 anni per mettere a punto gli strumenti (che oggi conosciamo con il nome di Thinking Processes tools della TOC) adeguati per pensare i sistemi nella stessa maniera in cui ci riuscivano Goldratt e i suoi. I TP tools (che in italiano vengono chiamati strumenti a supporto dei processi di pensiero) sono, allo stesso tempo, la sintesi più completa del pensiero sistemico TOC ed un set di strumenti per aiutare a pensare soluzioni per le nostre aziende. 
Nel 1994, anno che fa da spartiacque, è stato pubblicato il libro sui TP tools, “It’s not luck”, con lo stesso protagonista del primo libro, “The goal”, alle prese con problemi che andavano oltre la sua esperienza aziendale e che riesce a risolvere proprio grazie ai TP tools a cui è stata dedicata un’apposita appendice nella prima edizione di questo libro. Negli anni seguenti sono stati sviluppati soluzioni e approcci TOC per molti ambiti aziendali: project management, marketing e vendite, sistemi informativi.
Attualmente, l’interesse di Goldratt è rivolto a sistemi complessi e fondamentali quali quello educativo e sanitario. In questa seconda fase, la TOC non ha avuto, fino ad ora, il successo clamoroso che ha caratterizzato il periodo del SM. Si può spiegare questo fatto ricorrendo ad un’analogia che i fan di Guerre Stellari capiranno bene: il SM è come la spada laser impugnata dall’eroe, scintillante, potente, tangibile, i tools sono come la “forza”, difficile da afferrare, sfuggente, all’apparenza assurda.
Ma senza la “forza” la spada laser è sostanzialmente inutile.  La prestazione di un’azienda-sistema si misura con la capacità di raggiungere in tutto, in parte o per nulla gli obiettivi che ci si pone.

Guardando bene, ci si accorge che c’è sempre un qualcosa che impedisce di ottenere il massimo: che nessuna azienda, fatta eccezione forse per qualche gigante o per i monopolisti, è in grado di crescere o di migliorarsi senza limiti. In altre parole, l’esperienza ci suggerisce che le prestazioni di un sistema sono determinate da un fattore limitante, chiamato dalla TOC “constraint” o “vincolo”.

Poiché nelle aziende solitamente l’obiettivo è guadagnare dei soldi e la misura di questo è il denaro che si genera svolgendo l’attività propria dell’azienda, il constraint è l’elemento che determina il ritmo al quale l’azienda genera denaro attraverso la vendita di ciò che essa produce. Il valore così generato dal sistema viene chiamato dalla TOC “Throughput” (spesso abbreviato in Tput o T).
Il Tput è la quantità di denaro che l’azienda genera vendendo le cose che produce, detratti i soldi pagati ai fornitori. Un’ora di lavoro del constraint è un’ora di Tput e, di conseguenza, ogni minuto di mancato utilizzo del constraint è Tput perso.
Sebbene sia familiare il concetto che ci sia un limite alla crescita, non è altrettanto familiare pensare che in ogni azienda ci sia un solo fattore limitante o vincolo. Anzi, l’esperienza suggerisce che di vincoli ce ne sono sempre molti, che è difficile eliminarli tutti e che il problema sta proprio in questo.
Occorre prima di tutto sgomberare il campo dall’idea che avere un vincolo sia qualcosa di negativo. In realtà, l’esistenza di un vincolo è legata proprio al fatto che le aziende siano dei sistemi. Immaginate di dirigere una squadra di booling invece di un’orchestra; l’eccellenza di una squadra di booling è tipicamente la somma dei risultati dei singoli componenti. Una squadra di booling non è un sistema. In un sistema, le interazioni (interdipendenze) contano a volte più dei singoli nel determinare il risultato finale.
Se ci sono interdipendenze c’è un vincolo. 
La prima idea forte della TOC è di considerare il vincolo non come un fattore limitante, ma come un’opportunità per controllare meglio e far crescere l’azienda. Il ruolo vero del vincolo è di leva strategica, di fulcro sul quale agire per migliorare l’efficienza dell’azienda. Nella realtà di ogni giorno constatiamo che ci sono molti fattori che ci ostacolano, impedendoci di raggiungere in pieno i nostri obiettivi aziendali.
Quando pensiamo al miglioramento, pensiamo istintivamente ad una continua lotta senza fine con questi fattori limitanti e, di conseguenza, si tende ad associare alla parola vincolo un significato negativo. Ma questi vincoli sono una manifestazione palese di una sola causa, sfuggente e poco appariscente, che li origina tutti.
Eliminare sistematicamente i “colli di bottiglia” non migliora considerevolmente la situazione. Infatti, se dopo aver individuato un collo di bottiglia, lo eliminiamo, subito dopo se ne presenta un altro! Questa forma di rincorsa ai vincoli è una lotta senza fine e senza significato.

Per cambiare strutturalmente la situazione, è necessario eliminare le cause, risalire quindi alle radici dei problemi.  Il percorso generale per migliorare l’efficienza di un’azienda consiste nelle seguenti fasi:
1. scegliere strategicamente il vincolo di sistema;
2. organizzarsi per sfruttarlo al meglio (con un processo di pianificazione delle risorse);
3. introdurre le misure opportune (fondate sul concetto di Tput) per favorire il processo di subordinazione (termine con cui la TOC si riferisce all’adozione, in tutto il sistema, di comportamenti orientati all’efficienza dell’intero sistema e non solo all’efficienza locale);

4. individuare e superare tutti i vincoli cognitivi che ostacolano questo processo, compresi quelli che impediscono all’azienda di vendere di più e meglio.

domenica 21 febbraio 2016

Tput world vs. Cost world - parte 5 (ultima)

Gutenberg e il Throughput Accounting- una storia in 4 puntate
V e ultima puntata - un libero adattamento del problema P&Q da The Haystack Syndrome - E. Goldratt

Dalla puntata precedente .. ottimo” disse Gutenberg “mi pare proprio che si debba fare questo investimento! Dopo pranzo faremo ancora un po’ di ginnastica mentale su questo benedetto constraint”.


Mostriamo che l’inerzia sta alla base dei constraint di politica.

Come promesso, Gutenberg iniziò a spiegare le implicazioni dell'inerzia. "Dopo aver elevato il constraint del sistema, subito si può venire a formare un altro constraint. Se noi eliminiamo la restrizione, cioè eleviamo il constraint, senza impattare la bottom line (il risultato operativo netto), questa è una chiara indicazione che non stiamo trattando con il constraint.
Dalla sala si alzò un mormorio. "Ma con tutta la fatica che abbiamo fatto per capire qual è il constraint e a gestirlo al meglio, adesso dobbiamo ricominciare tutto daccapo?" Piero espresse ad alta voce il pensiero dei più. "No, anzi, la scelta del constraint è una decisione strategica per ogni organizzazione, di questo dovremo discutere a fondo in un'altra sede, ora è importante capire che cosa accade se non facciamo nulla e ci lasciamo trasportare dall'inerzia. Il constraint nel nostro caso è un’insufficiente domanda di mercato per il prodotto P. Ci sarebbe il mercato giapponese, stanno solo aspettando di comprare il prodotto P e il prodotto Q. Se vogliamo vendere il Giappone dobbiamo scontare il nostro prezzo del 20%. Ma questa riduzione non avrà conseguenze sul nostro mercato domestico."

" Ma questo è dumping" insorse Franco, direttore commerciale fresco di nomina. "Cosa significa dumping?" rispose Gutenberg " vendere sotto costo,ma se non esiste il costo del prodotto come facciamo a vendere sotto costo? Chiediamoci piuttosto perché andiamo in Giappone e vorremmo vendere Q a 8000 e non invece a 7200? E’ una domanda molto difficile in un “cost Word”, ma molto semplice in un “Throughput World”. Siamo in una situazione in cui le spese operative sono fisse e le risorse del constraint non possono essere elevate. Qual è l’unico modo per aumentare il profitto netto dell’azienda? Migliorare lo sfruttamento del constraint." Indicando il controller Gutenberg chiese " Qual è il risultato che otteniamo dal constraint" silenzio … "se vi dicessi che nella situazione attuale ogni minuto di constraint ci rende come minimo 200 dollari di throughput" proseguì Gutenberg, immediatamente Franco scattò "Se otteniamo più che 200 al minuto in Giappone, lo possiamo vendere la. Sicuramente questo migliorerà la nostra bottom line".
Facciamo un po' di conti per capire come Gutenberg mostrò ai suoi se c'era convenienza o meno a vendere in Giappone.

Il prezzo di vendita in Giappone è 7200, a questo sottraiamo le spese per le materie prime pari a 4500. Il throughput per unità è di 2700. Per produrre P ci servono 15 minuti del constraint. Non otteniamo un rendimento pari almeno a 200 al minuto, dunque non andiamo in Giappone.

Gutenberg riprese a parlare "Entrare nel mercato giapponese, al di là della convenienza economica immediata, rappresenta un'opportunità strategica che non possiamo ignorare. I clienti ci stanno chiedendo i nostri prodotti, con i soldi in mano, l’unico modo per fornire ciò che ci stanno chiedendo è di comprare un’altra macchina di tipo B
Ma nell’azienda c’è solo una persona che sa lavorare sulla macchina B e già lavora al 100%, dunque occorre assumere anche delle altre persone.

Ricapitolando, per cogliere questa opportunità dobbiamo investire 10.000.000 $ nell'acquisto di una nuova macchina e portare le spese operative da 600.000 alla settimana a 640.000 alla settimana. Come fareste a convincere il Consiglio a approvare questo investimento?" concluse Gutenberg.

Dopo qualche istante di disorientamento si formarono due gruppi, che presero a macinare numeri. In capo a una mezzoretta entrambi i gruppi avevano terminato di discutere e Gutenberg chiese di esporre le conclusioni a cui erano pervenuti.
Iniziò il gruppo "capeggiato" da Franco, che argomentò "Abbiamo comprato un’altra macchina per B, dunque B non è più il nostro constraint. Qual è a questo punto il constraint? Possiamo fornire tutti i prodotti (100 P e i 50 Q) che il mercato interno ci richiede, di conseguenza il mercato diventa il constraint." Prese fiato e proseguì " calcoliamo il throughput addizionale e il profitto netto conseguente in modo da valutare in quanto tempo si ripagherebbe l'investimento." La tabellina che Franco mostrò era fatta più o meno così:

domenica 14 febbraio 2016

Tput world vs. Cost world - parte 4

Gutenberg e il Throughput Accounting- una storia in 4 puntate
IV puntata - un libero adattamento del problema P&Q da The Haystack Syndrome - E. Goldratt

Dalla puntata precedente .. Gutenberg espose gli ultimi concetti con voce stanca “se dunque è solo attraverso una corretta gestione del constraint che possiamo ottimizzare I risultati della nostra azienda, ogni decisione dovrà essere valutata sulla base di esso. In altre parole per decidere in modo ottimale dobbiamo interessarci solo a quanto throughput posso generare con il constraint e quanto questo mi costa”.  A dicembre viene buio presto, nessuno in sala si accorse che era ormai ora di cena. Piero cominciava a pensare che forse non avrebbe dovuto inviare nessun curriculum.


Gutenberg concluse “Per capire fino in fondo questo metodo dobbiamo fare un altro po’ di ginnastica mentale. 

Domattina proveremo a prendere qualche altra decisione di valutazione di investimenti, di espansione del mercato, di avvio di nuovi progetti.”Piero si fece portavoce di tutti e chiese “e tutto questo, Teoria dei Constraints, approccio sistemico, nuovi sistemi di misura, come faremo a metterlo a impararlo e a in pratica?” 

Il giorno dopo Gutenberg, come promesso, riprese il discorso lasciato a metà. “se ripensate al nostro caso”, esordì, “vi chiederete se sono tutti felici della soluzione trovata? 

Qualcuno dei commerciali si sarà fatto quattro conti e non vedrà di buon occhio questa soluzione. Perché? Perché è costretto a vendere prima P e poi Q. Ma se Q è il prodotto più profittevole, dunque le commissioni su tale prodotto sono maggiori, le commissioni del commerciale saranno minori. 

Se vogliamo che l’azienda consegua il suo profitto massimo dobbiamo cambiare gli schemi delle commissioni di vendita!” Fulvio, il direttore commerciale, e Piero il controller, si scambiarono un’occhiata di intesa. 

Quando sembrava che le cose si stessero sistemando ecco che il boss li disorientava ancora, e adesso cosa c’entravano le commissioni dei venditori con il programma di produzione! Gutenberg continuava con calma “ in tutte le aziende I manager sostengono di prendere decisioni razionali basate sulle informazioni che hanno a disposizione. 

Chiariamo la confusione che si fa sovente tra dato e informazione” “La risorsa B è un constraint” E’ un dato o una informazione?” Anticipando una possibile risposta continuò “Per Gianluca, il direttore della produzione, è sicuramente una informazione perché sa su quale risorsa si deve concentrare, per Fulvio è un dato , ciò che vuole sapere veramente è quale prodotto deve spingere sul mercato. 

Per me è una informazione sapere che il net profit sarà di $300, ma sapere che è meglio vendere P, piuttosto che Q è solo un dato.”“Siamo d’accordo” chiede Gutenberg “ che l’informazione è la risposta stessa, mentre il dato è un pezzo delle informazioni necessarie per soddisfare la domanda?” Un coro di assensi giunse dalla sala.“Ma allora cosa è accaduto nel caso dell’impianto P/Q? Avevate tutti i dati a disposizione, ma non eravate in grado di DEDURRE l’informazione desiderata (quale profitto netto aspettarsi), o peggio, avete dedotto una risposta sbagliata.” 

Per capire che cosa è accaduto”  continuò il boss “dobbiamo ricordarci che per acquisire informazioni ci sono due CONDIZIONI NECESSARIE: 

1) avere a disposizione dei dati, 

2) avere un processo decisionale. 

La mentalità prevalente, che Eli Goldratt ha definito COST WORLD, ci porta a un processo decisionale errato, nel senso che ci porta a conclusioni sbagliate rispetto al nostro obiettivo. I 5 PASSI ci possono fornire il processo decisionale giusto, a partire dal livello base (identificazione del constraint) fino al più alto livello di deduzione di risposte tattiche, che conducono alla massimizzazione dell’utile netto.”“Ma allora che cosa ne facciamo del nostro nuovo sistema informativo che è in grado di calcolare  I costi con un processo multidimensionale fino a 10 dimensioni?” saltò su Claudio, il responsabile EDP. 

Gutenberg un po’ seccato rispose “ spesso abbiamo dati che non servono assolutamente a nulla; per esempio a cosa ci serviva sapere il costo orario delle risorse? A nulla. Poiché l’informazione è costruita in una struttura gerarchica e poiché il processo decisionale è quella cosa che ci permette di passare da un livello di informazione ad un altro, allora ogni cambiamento nel processo decisionale potrebbe rendere obsoleto un intero livello di informazioni. 

Ciò accade per esempio quando consideriamo il costo orario delle risorse. In un’ottica di throughput è necessario, per controllare le nostre spese, sapere quanti soldi paghiamo per ogni categoria (salari, fringe benefit), ma a cosa ci serve conoscere il costo del prodotto? Per determinare il prezzo del prodotto? No di certo questo è determinato dal mercato, non dai nostri costi!!!! Per determinare quale prodotto produrre di più? NO!! Lo abbiamo dimostrato nell’esempio precedente (il caso dei prodotti P e Q).” Gutenberg riprese fiato e proseguì “Nell’esempio precedente, dopo aver scoperto che il constraint era B, i dati più accurati dovevano essere su B. 

Nel mondo del Throughput I dati accurati sono necessari sul constraint, perché dati accurati su tutto non danno informazioni più accurate ma solo una grande confusione. I sistemi informativi in ultima analisi devono essere costruiti sulla base del constraint, per questo la decisione su dove posizionare il constraint è una decisione strategica, ma di questo parleremo un’altra volta.”
“Avete toccato con mano quanto sia fondamentale per la prosperità della nostra azienda il concetto di constraint; avete avuto un saggio di che cosa significhi identificare e sfruttare il constraint; credo che sia però opportuno soffermarci sul concetto di subordinazione al constraint e sulle implicazioni a livello gestionale che questo concetto ha. 

Che cosa vuol dire subordinazione? Significa che se la decisone è produrre 100 prodotti P e  30 prodotti Q tutti dovranno adoperarsi per questo. Quando il capo della produzione ci chiederà cosa deve produrre la nostra risposta sarà: 100 prodotti P e 30 prodotti Q alla settimana. Ma lui non ragiona in termini di prodotti, ma di pezzi e di schedulazione delle macchine. Per il capo della produzione questa decisione si tradurrà in un mancato sfruttamento di tutte le risorse. Infatti non serve sfruttare tutti i minuti di utilizzo delle macchine per produrre tali quantità. 

Ma se produce di più aiuterà l’azienda?” chiese Gutenberg.Piero stava per lanciarsi quando Gianluca lo anticipò “beh, dipende da che cosa intendiamo fare la settimana dopo” “spiegati meglio” lo sollecitò Gutenberg. “se facciamo girare le macchine a pieno regime, poiché abbiamo un constraint, a fine settimana oltre ai 100 prodotti P e ai 30 prodotti Q che dobbiamo consegnare ci ritroveremo con un certo numero di semilavorati. Se le settimane successive I clienti chiederanno ancora P e Q nella stessa misura, noi, settimana dopo settimana, ci troveremmo nella stessa situazione e pertanto I semilavorati prodotti in eccesso non ci servirebbero a aumentare il throughput”.


“E ..” Piero intervenne rudemente “ va bene, niente aumento di throughput, ma un bel aumento di attività e quindi utile lordo sul bilancio!!” “E inoltre “ Gianluca riprese la parola “se non facciamo andare le macchine a tutto vapore cosa accadrà agli indici di efficienza? Diminuiranno. Se ogni conduttore di macchina farà esattamente cosa gli è stato richiesto sarà punito visto che gli attuali incentivi sono basati sull’efficienza di macchina!”
Gutenberg riprese le redini della discussione “come avete mostrato adesso il terzo passo implica un cambiamento drastico nella misurazione delle nostre performance locali. Senza questo cambiamento le persone faranno resistenza a adottare questo metodo. Scatterà l’etica del lavoro: se un lavoratore non ha niente da fare, trovagli qualcosa da fare. Il concetto di SUBORDINAZIONE è in diretto contrasto con il corrente modo di pensare e di comportarsi. Ognuno di noi ha ben chiaro nella sua testa questo slogan:

CAMBIA LA MISURAZIONE DELLE MIE PERFORMANCE IN UN MODO CHE NON COMPRENDO PIENAMENTE, E NESSUNO SA COME MI COMPORTERÒ’, NEMMENO IO.”
E continuò con enfasi “non possiamo pensare di poter cambiare la cultura semplicemente cambiando la misurazione delle performance. Ottenere risultati in un’ottica di thorughput dipende solo dalla capacità dell’azienda di cambiare contemporaneamente la cultura nell’azienda. Non si devono migliorare i singoli processi, ma l’intero processo dell’azienda. 

E per farvi toccare con mano che cosa intendo dire continuiamo con il nostro esempio.”
Gutenberg propose quindi ai suoi manager una variante al problema P&Q:
“Per produrre una delle parti più importanti del nostro prodotto impieghiamo 20 minuti (che è la somma dei tempi impiegati nelle lavorazioni eseguite da B e C), immaginate che un giorno il tuo team leader venga da te, Gianluca, e ti dica che comprando  un nuovo macchinario che costa $300.000 potremo produrre lo stesso pezzo in 21 minuti invece che in 20 minuti come accade oggi. Il team leader sottolinea che questo nuovo macchinario non aumenta la qualità del pezzo, nè permette di utilizzare meno materiale. Che cosa direste al team leader?”


Gianluca rifletteva, Piero e Fulvio scattarono all’unisono “che non ha capito il concetto di subordinazione e cerca di aumentare l’efficienza delle macchine” pausa di silenzio “e…” “di solito I team leader conoscono la linea molto meglio dei direttori di produzione; di solito le persone, salvo casi eccezionali, cercano di dare il meglio sul lavoro, mi chiederei perché mi fa una proposta del genere.“ intervenne Gianluca.

Nella sala regnava un silenzio tombale. “E allora perché???” incalzò Gutenberg “Qual è l’unica ragione per acquistare una nuova macchina?”

“Aumentare la produttività” rispose contento Piero. “alla produttività di chi noi siamo interessati?” continuò Gutenberg, “ma del constraint” fece Fulvio, che nel frattempo si era ripreso dallo choc. “Esattamente” concluse Gutenberg “noi vogliamo aumentare la produttività del constraint, e solo di esso. Il perché dell’investimento sta nel fatto che la linea produttiva si possa modificare come descritto nella figura 2. 


Tutti annuivano. Andrea Gutenberg li gelò “bene, vedo che siete tutti d’accordo, allora ditemi quale sarà il ROI di questo investimento? Devo o no prendere una decisione?”

Si formarono immediatamente dei gruppetti. Dopo una decina di minuti sembrava che tutti fossero arrivati a una soluzione. Il gruppetto di cui faceva parte Piero lo aveva nominato portavoce e dunque gli toccò di nuovo andare alla lavagna.

Con circospezione cominciò “ L’impianto è in grado di spostare parte del lavoro dalla risorsa B alla risorsa C. Ora occorrono solo 14 minuti (invece che 15) per produrre il pezzo nella lavorazione B. Di fatto succede che per ogni unità prodotta in una settimana liberiamo 1 minuto della risorsa B. 

Questo equivale a 130 minuti in tutta la settimana. “ man mano che parlava e si accorgeva che Gutenberg lo stava seguendo con attenzione e curiosità, prese fiducia “Con questi minuti noi possiamo produrre e vendere altri prodotti Q, non P perché il mercato è già saturo. In pratica possiamo vendere altri 4 prodotti Q, con un ricavato supplementare di 40.000$ accollandoci costi di materia prima per $16.000 il che ci porta a un utile (margine) di 24.000$ alla settimana, il ROI è dunque del 416% su base annua.”
“ottimo” disse Gutenberg “mi pare proprio che si debba fare questo investimento! Dopo pranzo faremo ancora un po’ di ginnastica mentale su questo benedetto constraint”.

e sì non finisce qui, c'è una quinta e ultima, questa volta sul serio, puntata....