Verso la fine degli anni ’90 fui assoldato in qualità
di auditor per il Premio Eccellenza delle Imprese Artigiane della Regione
Lombardia.
Il compito consisteva nell’andare nelle aziende, somministrare una
check list e osservare il funzionamento per una mezza giornata.
Essendo
propenso a fare di testa mia oltre al compito facevo qualche domanda extra, ad
esempio cercavo di capire quali fossero le maggiori difficoltà che le aziende
incontravano.
La lamentela comune riguardava la difficoltà di trovare giovani
da affiancare ai vecchi del mestiere per impararlo e la lunghezza
dell’apprendistato (6 e 10 anni per fare un buon carpentiere!
Dove buono
significava che non bisognava più tenerlo a balia). Siccome il tema del
trasferimento del know how è abbastanza cruciale anche nell’IT (settore da cui
provengo, provate a modificare un sw scritto da un altro) chiesi come mai ci
volesse così tanto, visto e considerato che per laureare un ingegnere bastavano
5 anni.
La risposta fu: beh è semplice, finchè un apprendista non ha visto tutte
le possibili situazioni e non ha visto tutti i possibili errori non sarà mai
autonomo. Guarda caso il “colpevole” è sempre il modo con cui si pensa si possa
trasferire il know how (trial and error).
Ma siamo sicuri che sia l’unico modo?
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