domenica 19 gennaio 2014

La membrana della nostra mente di Tony Rizzo


"Ma certo! Ora che abbiamo fatto l'analisi lo vedo dovunque," dichiarò un manager nel parlare con una certa emozione del problema di fondo della sua organizzazione.
Quel nuovo manager si era offerto volontario per parecchi esempi del modo in cui il male di tutti i mali gli aveva preso la mano. Aveva citato più volte come un metodo di misurazione distorto aveva indirizzato le sue decisioni verso il regno della illogicità. Potevo vedere come ne era stato conquistato. Gli altri intorno al tavolo annuivano concordando, e restavano un po' spettatori, ad esclusione di quel manager, che aveva visto la luce. Era assolutamente convinto. Potevo solo sperare che non fosse l'unico.

Avevamo finito l'Albero della Realtà Corrente solo appena due settimane prima. Avevamo vagliato tutte le connessioni e scoperto la giusta formulazione per ogni singola entità, non importa quanto fosse insignificante. C'eravamo mossi insinuandoci tra il labirinto delle relazioni causa-effetto della nostra organizzazione per scoprire la radice di tutti i mali, e questo manager lo aveva riconosciuto per quello che effettivamente era. E ne era rimasto convinto.

Ma come si comportavano le rimanenti persone? Molti altri avevano individuato in quello il core problem. Ma alcuni non c'erano arrivati. Molti proprio non ci erano arrivati. Dannazione!
Allora che cosa sarebbe successo? Perché solamente una persona ne era pienamente persuasa mentre gli altri concordavano senza convinzione? Mi sarei scervellato su questo per le settimane che sarebbero seguite, fino a quando non presi tra le mani il libro di Edward deBono.

"La mente è un sistema informativo auto-organizzante" cosi parlava deBono nelle orecchie della mia mente mentre leggevo le sue parole. "Noi siamo soliti pensare al cervello come un sistema statico, non dissimile da una cassetta di sabbia in cui si lascino cadere delle sfere d'acciaio. Nella cassetta ogni sfera crea un avvallamento e se ne resta ferma," dicendo cosi la sua sfera creò un cratere nella sabbia della mia mente.
Capii le parole di deBono. Dopo aver passato un mucchio di anni nel costruire modelli matematici, mi ero ben abituato alle astrazioni. Il cassetto di sabbia era un oggetto facile da vedere per me.


"Ma quel modello era sbagliato" continuava deBono come una raffica di vento che spazzava via dalla mia mente sia il cassetto che la sabbia. "Un modello più accurato del modo in cui pensiamo lo fa somigliare ad una membrana elastica e sottile," e mentre continuava il campo della mia visione mentale si focalizzò di nuovo, "Se facciamo cadere una pallina di acciaio su questa membrana, provocheremo un affossamento," lo disse come se una di quelle sfere di acciaio lucente stesse incurvando la membrana della mia mente.
Come potevo vedere chiaramente la lamina giallastra e la depressione a forma di cono di tromba generatasi intorno alla biglia!

"Ciascuna esperienza, come una biglia su una membrana sottile, condiziona la nostra percezione degli eventi futuri," avvisava deBono. "Come la posizione finale dell'ultima sfera è influenzata dalla depressione creatasi dalle precedenti, così la nostra interpretazione degli eventi è influenzata dalle esperienze passate."
Potevo vedere in modo chiaro la seconda biglia d'acciaio, prima rimbalzare sulla lamina tesa e poi rotolare lentamente verso la sua lucente compagna. Ma la seconda sfera si era mossa per conto suo? Che cosa era successo alla prima sfera, era rimasta ferma, o anche la sua posizione era stata influenzata dalla caduta della seconda biglia? Dovevo scoprirlo.

Costruii il modello di deBono in meno di un'ora. Una semplice scatola di cartone, aperta verso l'alto, con distesa sopra, anziché una membrana di gomma, un foglio molto sottile di plastica. Mi dovevo accontentare della plastica. Non esisteva neanche un solo pezzo di gomma in tutta l'azienda. E le biglie… mi tormentavo per trovarle fino a quando non mi vennero in mente le sfere che si trovano nei mouse. Quindi smontai i dispositivi di puntamento di qualche vecchio computer e in breve il modello di deBono che era nella mia testa stava di fronte a me in tutta la sua gloria e nastro adesivo.
Con cautela, presi la prima sfera del mouse e la posi sul foglio di plastica teso sopra la scatola. Proprio come mi aspettavo, il suo peso fece afflosciare il foglio, creando la prevista depressione a forma di cono di tromba. A questo punto presi la seconda sfera e la posi a qualche centimetro distante dalla prima ed aspettai. Immediatamente, la seconda biglia affossò il foglio di plastica e restò ferma. Ma dopo qualche secondo cominciò a muoversi verso la prima, e appena poco prima che le due biglie si incontrassero, la prima si mosse lentamente, molto lentamente, ma si mosse!
Se il modello di deBono può essere considerato valido anche per la vita, non solo le nostre esperienze passate possono influenzare la nostra percezione del futuro, ma gli eventi futuri possono fare lo stesso con le conclusioni che traiamo dagli eventi passati. Questo perché la prima biglia si è mossa, non è rimasta ferma nel posto in cui era. La mente, la cui membrana stavo affossando con le mie sfere del mouse, può essere cambiata. Può essere alterata da eventi non ancora provati. Stavo lasciando correre i miei pensieri con questi nuovi concetti, quando il telefono richiamò la mia attenzione.
"Non c'è più corda - NdT," disse la voce del mio amico come provenisse dalla terra promessa. "Il problema è che non c'è più corda nel sistema," ripeté, parlando della realtà nella quale spendo la maggior parte delle mie ore del giorno.

Con mio stupore, afferrai immediatamente che cosa avevo capito ma non avevo notato. La sua osservazione era del tutto corretta. Nella mia realtà, non ci sono praticamente limiti alla quantità di lavoro che può essere richiesta ai dipendenti. I vari progetti si susseguono a un ritmo che pare limitato solamente dai budget annuali. Per chi conosce la terminologia del Drum Buffer Rope, possiamo dire che non c'è corda (rope). Naturalmente non abbiamo né un buffer né un drum, ma ancora più sicuramente non c'è rope.
Discutemmo brevemente dopo che aveva fatto cadere quel macigno direttamente nel mezzo della mia membrana mentale. Il mio amico aveva una certa abilità nel colpire bersagli di questo tipo. Sforzandomi seriamente penso che sarei in grado di ricordare tutto quello che ci dicemmo in quei momenti, ma sicuramente una frase non rischia di essere dimenticata: "Non c'è più corda nel sistema".
Quel macigno ora giace nelle profondità dell'abisso della mia membrana e attira verso lo stesso un numero indefinito di sfere di dimensione più piccola. Il modello di deBono ne è rimasto morto e sepolto. Nemmeno una delle precedenti biglie che avevano colpito in precedenza il mio cervello a membrana era rimasta al suo posto. Tutte avevano sentito farsi tirare dalla frase pronunciata dal mio amico. Improvvisamente, come quel manager che si era trovato completamente convinto nell'avere individuato il core problem, anch'io potevo vederlo dappertutto. Non c'era corda nel sistema.

Dopo quindici minuti di colloquio al telefono, tornai alla mia simulazione del modello di deBono di membrana della mente. Naturalmente le due sfere del mouse erano ancora lì, ma la plastica aveva qualcosa di diverso. La depressione a forma di cono di tromba era molto più marcata, le due sfere con il tempo avevano marcato maggiormente la superficie. In questo modo, la loro influenza sulle sfere che cadranno in futuro sarà molto più pronunciata. La probabilità di essere loro influenzate dalla caduta delle sfere successive a loro era diminuita fortemente, a causa del modo in cui si erano sistemate nel tempo.

Pensai a quei manager di cui stavo perdendo il sostegno. Erano nell'organizzazione da parecchi anni, e un errato sistema di valutazione aveva lasciato in più di dieci anni una forma nella membrana delle loro menti che la nostra analisi non era riuscita a togliere. Non l'avevo neppure scalfita. Che avessi bisogno di una sfera di dimensioni elefantesche? Ma ero fortunato: il Museo di Storia Naturale di New York stava esponendo i resti dei dinosauri.


NdT con corda Rizzo si riferisce al Drum Buffer Rope (Tamburo, Tampone e Corda) il metodo introdotto da Eli Goldratt per migliorare la produzione industriale

UN SISTEMA DI CONOSCENZA PROFONDA - PARTE 6 - LEADERSHIP

Deming tenta di elaborare in poche pagine un riassunto del pensiero centrale dal quale è stata sviluppata tutta la sua filosofia di Management durante gli ultimi 60 e più anni, chiama questa rielaborazione un Sistema della Conoscenza Profonda. Il Sistema di Conoscenza Profonda è articolato in quattro parti, tra loro correlate: 
 
A.   Valutazione di un sistema

B.   Nozioni di teoria della variabilità (teoria statistica)

C.   Teoria della conoscenza

D.  Nozioni di psicologia
 
Abbiamo già pubblicato 5 post, questo è l'ultimo dedicato al tema della LEADERSHIP.  
 
Al posto dei giudizi, della valutazione, della classificazione in livelli (eminente, eccellente, o giù fino a insoddisfacente), ci sarà la leadership. Lo scopo della leadership è aiutare le persone, migliorare il servizio e i profitti dell’azienda.

Alcuni attributi di un Leader 

Un leader e il suo gruppo capiscono il significato di sistema, e il modo in cui il lavoro del gruppo può mantenere questi propositi. 

Un leader lavora in cooperazione con le fasi precedenti e seguenti verso l’ottimizzazione del lavoro di tutte le fasi. Vede il proprio gruppo come una funzione all’interno di un sistema. 

Capisce che tutte le persone sono diverse le une dalle altre. Cerca di creare per tutti interesse e sfida, e gioia nel lavoro. Cerca di ottimizzare l’istruzione, le abilità, e le capacità di ognuno per migliorare. Il miglioramento e l’innovazione sono il suo obiettivo.

E’ una persona che impara incessantemente. Incoraggia le persone a studiare. Provvede, quando possibile e fattibile, a organizzare seminari e corsi per il progredire dell’apprendimento. Incoraggia la continua istruzione in college o università per le persone che vi sono portate. 

E’ allenatore e consulente, non un giudice.

Capisce un sistema stabile. Che cosa fare riguardo ad errori e incapacità delle persone, come aiutarle, che cosa fare riguardo a incidenti e rotture in un sistema stabile, è completamente differente dalle azioni adottate in un sistema instabile. 

Possiede tre fonti di potere:
a)    Formale
b)    Conoscenza
c)    Personalità

Un leader di successo sviluppa b) e c); non fa affidamento su a). Ha tuttavia il dovere di utilizzare a), poiché questa fonte di potere gli permette di cambiare il sistema – attrezzature, materiali, metodi – per conseguire il miglioramento, ad es. ridurre la variabilità nell’output. 

Studierà i risultati con lo scopo di migliorare il proprio lavoro. 

Un altro scopo è capire chi, se è fuori dal sistema, necessita di un aiuto speciale. Un semplice riadattamento del lavoro potrebbe essere la risposta.

Crea fiducia.

Crea libertà e innovazione.

E’ consapevole che la creazione di fiducia richiede che egli si assuma un rischio. 

Non si aspetta la perfezione. 

Ascolta e impara senza emettere giudizi su colui che sta ascoltando.     

Comprende i benefici della cooperazione e gli svantaggi della competizione tra le persone e tra i gruppi.




domenica 12 gennaio 2014

UN SISTEMA DI CONOSCENZA PROFONDA - PARTE 5 - TEORIA DELLA CONOSCENZA

Deming tenta di elaborare in poche pagine un riassunto del pensiero centrale dal quale è stata sviluppata tutta la sua filosofia di Management durante gli ultimi 60 e più anni, chiama questa rielaborazione un Sistema della Conoscenza Profonda. Il Sistema di Conoscenza Profonda è articolato in quattro parti, tra loro correlate: 
A.   Valutazione di un sistema

B.   Nozioni di teoria della variabilità (teoria statistica)

C.   Teoria della conoscenza

D.  Nozioni di psicologia
Abbiamo già pubblicato la prima la seconda, la terza parte e la quarta parte.

 
C.  TEORIA DELLA CONOSCENZA

1.      Ogni piano razionale, per quanto semplice, richiede una previsione riguardante le condizioni, il comportamento, il confronto delle prestazioni sia di procedimenti che di materiali.
Per esempio, come tornerò a casa questa sera? Prevedo che la mia automobile partirà e procederà soddisfacentemente, e mi pianifico di conseguenza. Oppure, prevedo che l’autobus o il treno arriveranno.
Oppure: continuerò a usare il metodo A, e non passerò al metodo B, perché in questo momento l’evidenza che il metodo B sarà sicuramente migliore non è convincente.
2.  Una affermazione priva di previsione o di spiegazione degli eventi passati non è di aiuto al management di un sistema.
3.  Senza teoria, non c’è niente per cambiare o imparare dal confronto con l’esperienza.
4.  L’interpretazione dei dati di test o esperimenti è previsione – cosa accadrà con l’applicazione delle conclusioni o raccomandazioni estratte da un test o da un esperimento? Questa previsione dipenderà ampiamente dalla conoscenza del problema. E’ solo nello stato di controllo statistico che la teoria statistica aiuta la previsione.
5.  Un esempio non è di aiuto al management a meno che non sia studiato con uno scopo teorico. Copiare un esempio di successo, senza capirne lo scopo teorico, potrebbe condurre al disastro.
6.  La comunicazione e la negoziazione (come tra cliente e fornitore, tra dirigenti e sindacati, tra paesi) richiede l’ottimizzazione di definizioni operative (Per citare Deming: “ Le parole non hanno significato a meno che non si traducano in azioni, su cui siano tutti d’accordo. Una definizione operativa inserisce in un concetto il significato da comunicare.” Quindi non ci accontentiamo semplicemente di usare parole come “pulito”, “tondo”, “difettoso”, etc…. Le definizioni operative di tali concetti stabiliscono metodi univoci di selezione, misurazione, e prova, per definire se le caratteristiche siano o meno pertinenti. Vd. Out of the Crisis, Capitolo 9 e The Deming Dimension, Capitolo 7).
7.  Nessun numero di esempi fonda una teoria, tuttavia un unico inspiegabile fallimento della teoria richiede la modifica o persino l’abbandono della teoria stessa.
8.  Non esiste un valore vero di una caratteristica, stato, o condizione che sia definita in termini di misurazione o osservazione. Un cambiamento della procedura di misurazione o osservazione produce un valore nuovo.
9.  Non esistono fatti riguardanti un’osservazione empirica. Due persone qualsiasi possono avere idee diverse riguardo a ciò che è importante conoscere di un evento.


D.  NOZIONI DI PSICOLOGIA

1.  La psicologia ci aiuta a capire le persone, le interazioni tra le persone e gli avvenimenti, il rapporto tra insegnante e alunno, le interazioni tra un leader e il suo gruppo e ogni sistema di gestione.
Le persone sono differenti le une dalle altre. Un leader deve prestare attenzione a queste diversità, e usarle per ottimizzare le capacità e le inclinazioni di ognuno. Il management dell’industria, istruzione, e amministrazione opera oggi con l’ipotesi che tutte le persone siano simili.
2.  Infine, lo sforzo non è fortemente dipendente dal modo in cui un individuo reagisce e interagisce con il sistema in cui si trova – e non è anche questo una questione di tendenza naturale? Non è certo insolito constatare che una persona che compie un piccolo sforzo in un sistema (ambiente, cultura, lavoro, ecc…), tuttavia faccia uno sforzo massiccio in un altro sistema – e non è solo il caso di quando viene pagato di più o ha una maggiore pressione su di sé. Considerazioni di motivazione intrinseca ed estrinseca, che appaiono più avanti in questa sezione, sono altamente rilevanti anche qui. (Probabilmente molti negherebbero di gestire con una simile ipotesi (quanto ad abilità naturali). Ma molto di ciò che fanno sembra giustificabile solo con quella supposizione.Considerate il giudizio di merito, gli incentivi finanziari, i bonus: sono sicuramente rivolti ad incoraggiare e premiare gli sforzi. Quale potrebbe essere il significato di valutare le inclinazioni naturali se il reale vantaggio è ottenibile riconoscendole e combinandole? Un altro esempio è dato dal modo in cui gli universitari sono spesso giudicati dal numero di articoli (o pagine!) che pubblicano, ignorando effettivamente la facilità o la difficoltà della pubblicazione in aree differenti all’interno dello stesso soggetto, considerando solo le differenze tra i soggetti)
3.  Le persone apprendono in modi differenti, e con velocità diverse. Alcuni imparano meglio leggendo, altri ascoltando, altri guardando immagini, ferme o in movimento, altri guardando qualcuno fare qualcosa.
4.  Un leader, in virtù della sua autorità, ha l’obbligo di operare cambiamenti nel sistema di management che portino il miglioramento. Anche se non affermato in questo documento, Deming e altri (incluso Juran) sono chiari sul fatto che le maggiori fonti di difficoltà e spreco sono i sistemi (cause comuni di variabilità) in cui lavorano le persone, piuttosto che le persone stesse (parte delle cause speciali di variabilità) – vd., per esempio, Out of the Crisis. La maggiore responsabilità per il miglioramento risiede quindi in coloro che hanno autorità sui sistemi, non in coloro che li subiscono. Implicita nell’affermazione è la necessità per i manager di migliorare la loro comprensione e la modalità di leadership.
5.  Esiste la motivazione intrinseca, la motivazione estrinseca, iper-allineamento (La motivazione intrinseca per il lavoro (di ogni tipo) è una motivazione ispirata “da dentro”: cioè una persona si avvicina al lavoro l’intimo desiderio di fare un buon lavoro per il piacere di farlo, per la propria soddisfazione sul lavoro, per l’interesse e l’esaltazione per il compito, anzi, “per la gioia di lavorare”. Al contrario, la motivazione estrinseca è una motivazione per ragioni esterne al lavoro: ad es. ha a che fare con lo stipendio, o la paura di essere licenziati; l’imposizione di obiettivi esterni e la competizione appartengono a queste categorie. Deming crede che l’uomo sia nato con una notevole motivazione intrinseca naturale ma la Direzione stenta a riconoscerla; la conseguenza è che la Direzione si concentra sulla meno fertile motivazione estrinseca, distruggendo deplorevolmente molta della motivazione intrinseca nel processo. L’iper-allineamento riguarda l’effetto svalutativo della ricompensa estrinseca data nel momento in cui la ricompensa intrinseca era più che sufficiente. Essa dimostra al ricevente che colui che la concede non capisce o non valuta la motivazione intrinseca. Ciò può cominciare a modificare l’equilibrio tra le due nella testa del ricevente, ed è probabile che si generi un circolo vizioso).
·        Le persone nascono con il bisogno di relazione con altre persone, e con il bisogno di essere amati e stimati dagli altri. Hanno una necessità innata di autostima e rispetto.
·        Le circostanze forniscono ad alcune persone dignità e autostima. Gli avvenimenti negano ad altre persone questi vantaggi.
·        La Direzione che nega ai propri dipendenti dignità e autostima soffocherà la motivazione intrinseca.
·        Alcune leve motivazionali estrinseche privano i dipendenti di dignità e di autostima. Se per uno stipendio più alto, o per una valutazione più elevata, faccio qualcosa che so essere sbagliato - il termine “sbagliato” potrebbe essere valutato in due modi. Se vengo incoraggiato a fare ciò che penso sia scorretto, potrebbe esserci perdita di dignità e autostima; ci sarà certamente perdita di rispetto per l’azienda e la sua direzione. Se sono incoraggiato a fare ciò che so essere moralmente sbagliato, queste perdite saranno più vaste -, vengo derubato della dignità e dell’autostima.
·        Nessuno, bambino o altro, può divertirsi ad imparare se deve costantemente preoccuparsi di voti e stelle d’oro per la sua prestazione, o di classificazioni sul lavoro. Il nostro sistema scolastico verrebbe migliorato immensamente con l’abolizione dei voti.
·        Si nasce con la naturale inclinazione a imparare e a essere innovativi. Invece, il diritto ad amare il proprio lavoro si eredita. La psicologia aiuta a nutrire e preservare queste positive caratteristiche innate delle persone.

La motivazione estrinseca è la sottomissione a forze esterne che neutralizzano la motivazione intrinseca. Lo stipendio non è una leva motivazionale. Sotto una motivazione estrinseca, l’apprendimento e la gioia nell’apprendere a scuola vengono sommersi per poter ottenere i massimi voti. Sul lavoro, la gioia del lavoro e l’innovazione diventano secondarie rispetto a una buona valutazione. Sotto una motivazione estrinseca, si è regolati da forze esterne. Si tenta di proteggere ciò che si è. Si tenta di evitare la punizione. Non si conosce la gioia dell’apprendere. La motivazione estrinseca è una mentalità Zero Difetti - Per lo meno, lo stipendio non è una leva motivazionale intrinseca; c’è anche la considerevole evidenza che non è neanche così importante come leva estrinseca come si può  pensare. La valutazione della gerarchia dei bisogni di Herzberg è utile per comprendere questa questione. Per un esame di questo e di altri argomenti correlati , vd. l’opuscolo: Performance Appraisal and All That! (n°8, 1991).
La rimozione di una leva demotivante non crea motivazione.
L’iper-allineamento proviene da sistemi di ricompensa errati. E’ la rassegnazione a forze esterne. Potrebbe essere una ricompensa monetaria a qualcuno, o un premio, per un’azione o un traguardo ad allontanare il piacere e la soddisfazione di sé. Il risultato della ricompensa in queste condizioni è quello di soffocare la ripetizione; la persona perderà interesse in una tale continuazione.

La ricompensa monetaria in queste condizioni è una via d’uscita per i manager che non sanno gestire la motivazione intrinseca.

Smetti di scavare di Tony Rizzo


"Se ti trovi in una buca, smetti di scavare."

Queste furono le parole di Oded Cohen, quando ci mostrò come insegnare il Management Skills Workshop (MSW)NdT. Secondo Oded, il business è fondato sulla dimensione relazionale delle persone. Possono essere le relazioni tra clienti e impiegati. Possono essere le relazioni tra noi stessi e i nostri collaboratori o i nostri superiori. In ogni caso si tratta sempre di relazioni, quindi, se vedete che quello che state dicendo e il modo in cui lo state dicendo sta deteriorando le vostre relazioni con quel collega che vi sembra un po' testardo, fermatevi. Interrompete la comunicazione, cessate di trasmettere. Sfogatevi davanti ad uno specchio, ma smettete di danneggiare la relazione. Datevi la possibilità di calmarvi e riflettere sul conflitto che sta causando questo tipo di emozioni in voi. Smettete dunque di scavare ancora in quella buca, perché questo renderà solo più difficile uscirne. 

Dal punto di vista di chiunque, il consiglio di Oded è pieno di buon senso. In ogni caso, per me questo continua ad essere un cambio di paradigma difficile da realizzare. Ma ci sto provando, lo giuro. Dopo quattordici anni passati in un ambiente molto impegnativo, competitivo e tecnologicamente avanzato, devo confessare che ho acquisito dei comportamenti sgradevoli, delle abitudini che sono difficili da abbandonare. È stata una lunga storia di conflitti, spesso mai risolti. Che ci crediate o no, il mio primo conflitto lo ho avuto dopo solo un giorno di lavoro, quando incontrai Michel. 

Michel lavorava già da qualche anno; io ero il novellino, fresco della scuola d'ingegneria e desideroso di mostrare le mie capacità al mondo intero (e anche ai miei superiori). Sfortunatamente, Michel era a capo dell'intero progetto nel quale al mio gruppo appena costituito erano stati affidati dei compiti. In quanto ingegnere capo, era responsabile di una parte, in quanto ingegnere capo era responsabile di un'altra parte, e così via. Poco importava se non esistesse per nulla la posizione di "ingegnere capo" a quei tempi in azienda. Lui era il capo, e io dovevo semplicemente aspettare i pezzi di quello che sarebbe potuto cadere giù dal suo bancone di laboratorio. Se solo avessi avuto l'MSW con me allora…Michel e io saremmo potuti essere ancora amici.

Se avessi avuto con me le abilità fornite da MSW, mi sarei potuto ritirare dal primo incontro con Michel, avrei potuto prendermi tutto il tempo necessario per capire che si sentiva minacciato da un ragazzo che era in grado di derivare le funzioni di Bessel (una capacità andata ormai persa da qualche tempo). Se avessi avuto quelle abilità, avrei potuto costruire quella nuvola di negoziazione che Oded ci ha così abilmente insegnato.
La nuvola di negoziazione è una versione speciale della Nuvola di Evaporazione del Conflitto che è insegnata come elemento dei Processi di Pensiero, ed è la più efficace per risolvere i conflitti giornalieri che spuntano come funghi. Si tratta di una versione speciale, a causa delle restrizioni che la natura delle negoziazioni esige.


Scrivere la nuvola di negoziazione è molto facile, se partiamo con "Io voglio…Tu vuoi…". Queste, come potete indovinare, sono le posizioni, conosciute anche sotto il nome di prerequisiti. Sono l'aspetto più facile da identificare del conflitto, per ovvi motivi.
Il passaggio successivo è scrivere le esigenze, i veri bisogni.
"Io voglio questo, perché ho veramente bisogno di quest'altra cosa, e quello che voglio mi permetterebbe di ottenere quello che di cui io ho veramente necessità."
Il terzo passo è scrivere l'obiettivo comune, qualcosa che entrambe le parti necessitano di raggiungere o ottenere. Per chiarire facciamo un esempio che illustri la nuvola di negoziazione. Si tratta di un vero conflitto in cui mi sono trovato recentemente.
A causa dei recenti cambiamenti avvenuti nel mio ambiente di lavoro, scrissi un articolo che esprimeva il mio punto di vista sui mutamenti. In mancanza di un adeguato canale di pubblicazione, chiesi il permesso al responsabile di un bollettino vicino al mio ufficio di poterlo pubblicare. Il direttore mi concesse molto gentilmente il permesso per la pubblicazione, ma qualcuno nel suo reparto fece delle obiezioni e rimosse il mio articolo dal bollettino. Da questo sorse il conflitto.

Alla fine la controparte ed io ci sedemmo ad un tavolo per discutere il nostro conflitto. Io volevo che il mio articolo fosse pubblicato sul bollettino. Erano in gioco i diritti assicuratimi dal Primo Emendamento (io prendo queste cose con la massima serietà). L'altra parte voleva che il mio articolo fuori dal bollettino, che considerava il suo dominio di competenza. Il contenuto del mio articolo non aveva nulla a che fare con gli scopi per i quali avevano creato il bollettino. Un conflitto classico!
Fin dall'inizio, l'atmosfera in quell'ufficio era ben lontana dall'essere confortevole, anche se le nostre voci rimanevano su un tono pacato, benché tese dall'emozione. Questa è una parola chiave insegnataci da Oded: emozione. Il mio livello emotivo era un chiaro indicatore del fatto che stavo scavandomi una buca profonda con le mie stesse mani. Smisi di scavare. Anziché farmi prendere dalla rabbia e dalla frustrazione, tornai a sedermi e scrissi mentalmente la nuvola. Oded ne sarebbe stato fiero.

Il nostro obiettivo comune (A) era quello di restare di buon umore al lavoro. La controparte concordò su questo. In fondo era un buon obiettivo comune per entrambi e, per rimanere di buon umore, lui aveva bisogno di mantenere il controllo del suo bollettino, in pratica aveva bisogno di restringere il campo dei contenuti del bollettino. Per restringere il campo dei contenuti, lui doveva rimuovere ad ogni costo il mio articolo da esso (D'). Affermai che comprendevo questa posizione, prendendolo probabilmente di sorpresa.

Naturalmente, rimanere di buon umore per me significava che io avevo bisogno (B) di poter esprimere il mio punto di vista sugli importanti cambiamenti che erano avvenuti nell'ambiente in cui lavoro. Per essere in grado di esprimere questo punto di vista, io dovevo pubblicare il mio articolo sul bollettino (D), perché quello era l'unico luogo dove avrei potuto pubblicarlo.

Spero che quest'affermazione suoni per voi sbagliata quanto lo fu per me quando io la espressi per la prima volta a me stesso. Che assunto! Che assunto sbagliato! Risolsi il conflitto rapidamente, invalidando quest’assunto. Immediatamente informai la parte avversa che potevamo uscire da questa situazione conflittuale entrambi a testa alta da vincitori. Lui poteva mantenere il controllo del bollettino ed io potevo continuare ad esprimere (e pubblicare) le mie opinioni come volevo, anche se non su quel notiziario. Dopo l'incontro, appesi l'articolo sulla parete appena fuori il mio ufficio.


È stata questa una soluzione win/win come a molti che praticano la TOC piace dichiarare? Di fatto, sì. La controparte ebbe quello di cui aveva bisogno e che voleva, il controllo dei contenuti del bollettino. Io, al contempo, ebbi quello di cui veramente avevo bisogno, la libertà di poter esprimere quello che pensavo. A queste condizioni, sì, era una soluzione win/win.
Ma che cosa sarebbe potuto succedere se il conflitto fosse stato risolto in un modo differente? Che cosa sarebbe accaduto se avessi insistito a volere che il mio articolo fosse pubblicato su quel bollettino? E cosa sarebbe avvenuto se fossi riuscito ad ottenere la pubblicazione forzando la parte opposta ad accettare il mio articolo, magari portando il suo capo dalla mia parte? Avremmo avuto un risultato sicuramente differente. Quella sarebbe stata una sconfitta per lui, e una vittoria solo temporanea per me, perché alla fine lui avrebbe avuto la sua rivincita. In ultima analisi, quella sarebbe stata una soluzione lose/lose.

Discutiamo adesso un punto un po' più delicato. In precedenza, avevo detto che questa era detta nuvola della negoziazione, e avevo alluso al fatto che era differente dalla tipica Nuvola di Evaporazione del Conflitto che molte persone che praticano la TOC insegnano. Inoltre, questa nuvola ha gli stessi elementi della Nuvola di Evaporazione. Abbiamo un obiettivo comune, ci sono le esigenze, che possiamo chiamare anche bisogni, e ci sono anche i prerequisiti (quello che vogliamo). Allora, qual è la differenza?
La differenza sta nel modo in cui ci sforziamo di rompere la nuvola di negoziazione. Piuttosto che testare ogni legame di causalità (le frecce che collegano i diversi elementi che compongono la nuvola), noi mettiamo in dubbio solo i legami di causalità che esistono tra i bisogni e le posizioni (ovvero riferendoci alla nuvola B-D e C-D'), e abbiamo una buona ragione per farlo. Se io sto negoziando con qualcun altro, allo scopo di risolvere un conflitto, ho veramente un qualche diritto di mettere in dubbio i bisogni percepiti da chi mi sta di fronte? E costui ha un qualche diritto di dirmi di cosa io ho bisogno o non ho bisogno? No di sicuro! Ancora, se io metto in discussione i bisogni dell'altro, quale potrebbe essere facilmente la sua reazione? Molto probabilmente, non sarà granché disponibile a discuterne. Questo è il motivo per cui noi mettiamo in discussione solo quello che vogliamo e chiediamo, non i bisogni che generano queste posizioni.

C'è un altro punto che è giusto citare. Le relazioni sono rafforzate se, laddove è possibile, risolviamo il conflitto rompendo la freccia dalla nostra parte della nuvola (il legame B-D nell'esempio). Se la relazione è importante per noi, allora è giusto che ci sforziamo un po' di più per fare affiorare e invalidare i nostri assunti. Se ci riusciamo, probabilmente ci siamo resa amica una persona che sarebbe potuta diventare un nemico.
Oggi, il responsabile di quel bollettino ed io abbiamo un buon rapporto. Per quello che mi è dato di sapere, lui ha persino un certo rispetto per la mia persona. Sicuramente, io ho il giusto rispetto per lui, perché nel corso di questo avvenimento il suo comportamento è stato esemplare.

martedì 7 gennaio 2014

La squadra aziendale e la Teoria dei Constraints di Tony Rizzo


Sembra che tutti siano d’accordo nel dire che il lavoro di squadra è una buona idea. Sicuramente ci credono sia i presidenti che gli allenatori delle squadre sportive (Inter fa eccezione ndr) . E, senza dubbio, ci credono anche i dirigenti ed i manager di molte delle grandi aziende americane. Le persone migliorano in efficacia quando lavorano in team rispetto a come si comportano quando sono individui isolati. Le persone che hanno un obiettivo comune pensano che lavorare in team sia molto vantaggioso.

Ma cosa possiamo dire quando parliamo delle aziende? Se il lavoro di squadra è una idea formidabile per i singoli individui, non può essere una buona idea applicarlo alle organizzazioni? Dopo tutto, le aziende non possono essere viste come somma di gruppi organizzati? Secondo la Teoria dei Constraints possiamo considerarle in questo modo. L’ufficio commerciale può realizzare una vendita, ma senza la cooperazione del magazzino il cliente non riceverà mai la merce. Senza la collaborazione della produzione non ci sarebbero prodotti da vendere. Senza l’opportuno contributo dei progettisti, la produzione non avrebbe nulla da costruire. Allora, creare un lavoro di squadra tra gli organismi che formano una azienda non solo è una cosa desiderabile, ma è una condizione assolutamente necessaria per avere successo.

Ma, se ci possono essere similitudini tra le squadre sportive professioniste e le aziende, ci sono anche delle differenze. Nel caso della azienda, nessuno resta in panchina. Non ci sono giocatori di riserva. L’azienda comprende solo quegli organismi che gli sono assolutamente necessari per competere con successo. Ad esempio, non ci sono uffici vendite alternativi che restano in attesa di entrare in gioco quando si presenta l’opportunità. Come non ci sono impianti di produzione di riserva che aspettano di essere messi in funzione. Una azienda competitiva include solo quegli organismi che gli sono necessari e sufficienti al fine di competere con successo, perché il costo di avere sostituti sarebbe un fardello insopportabile per il resto della squadra.

Questo è un problema? Di solito no, non è un problema. Comunque non ci sono alternative nell’avere solo i giocatori necessari. Ma se l’azienda di successo ha solo le risorse necessarie e sufficienti per lo svolgimento della sua attività, che cosa succede se anche una sola di queste risorse non fa la sua parte? Per la Teoria dei Constraints, la risposta più ovvia è anche quella corretta. L’intero team, l’azienda, fallisce nel proprio intento.

Per questa ragione, la Teoria dei Constraints ci dice che la misura con cui si valuta ciascun membro di qualunque organismo che compone l’azienda deve essere basata sul contributo che l’organismo stesso fornisce al raggiungimento dei risultati aziendali. Ad esempio, consideriamo l’effetto di giudicare le prestazioni di uno stabilimento sulla base dei chilogrammi di prodotto che lo stabilimento produce, senza considerare se sta producendo il mix corretto di prodotti. Molto probabilmente lo stabilimento riesce a lavorare a pieno regime. Se rispettiamo questo metodo di misura per la valutazione, lo stabilimento apparirà eccellente non appena produrrà a tutto spiano. Allora questa organizzazione misurata in questo modo distorto, non troverà nulla di sbagliato nel riempire i magazzini della azienda a cui appartiene di prodotti anche se non sono richiesti dai clienti, l’importante sarà produrre a pieno regime. Nel contempo parecchi ordini dei clienti resteranno inevasi, perché i prodotti necessari non sono realizzati nelle giuste quantità. Questa organizzazione non potrà essere tollerata a lungo, perché le sue prestazioni inappropriate distruggono la profittabilità dell’intera azienda.

Al contrario, consideriamo gli effetti di legare il premio per le prestazioni della nostra fabbrica al valore (per l’azienda che la possiede) delle vendite che questo stabilimento contribuisce a far raggiungere all’intera azienda. Consideriamo, anche, l’effetto derivante dal sottrarre dalla misura di valutazione delle prestazioni il valore delle vendite che hanno generato richieste di interventi in garanzia, così come il valore dell’invenduto o delle materie prime in giacenza. 
Non avremmo così una fabbrica motivata a produrre solo quanto richiesto dai clienti e quando lo chiedono i clienti? Probabilmente si. 
Non avremmo così una fabbrica motivata a produrre solo prodotti qualitativamente competitivi? Probabilmente si. 

Le prestazioni di una simile organizzazione del lavoro inciderebbero sulle prestazioni dell’intera azienda in modo negativo oppure in modo così positivo al punto di migliorarle? È più che certo che le prestazioni dell’intera azienda migliorerebbero, perché la misura di valutazione delle proprie prestazioni sarebbe direttamente connessa alle prestazioni dell’intera azienda. Lo stabilimento subirebbe ripercussioni negative se l’intera azienda conseguisse risultati negativi. Allo stesso modo lo stabilimento lavorerebbe bene se aiutasse l’azienda a ottenere risultati.

La Teoria dei Constraints ci dice dunque che dobbiamo pensare l’azienda non come un insieme di reparti che agiscono individualmente ma come una fitta trama di organismi che hanno l’obiettivo comune di far sì che sia l’azienda a vincere. Se ci fermiamo a pensare un attimo, la Teoria dei Constraints è poco più che buon senso (questa frase non tragga in inganno, il "poco più" del buon senso è comunue una radicale tarsformazione rispetto al modello tradizionale - ndr). 
Ma dobbiamo considerare proprio questo, dobbiamo capire che è questo tipo di buon senso che fa la differenza tra un futuro sorridente ed una marcia forzata verso la rovina.