venerdì 4 aprile 2014

Late Night Discussion #5 - Il fattore critico di successo dei giapponesi

Le Late Night Discussion (conversazioni a tarda ora) sono una raccolta di articoli scritti verso la fine degli anni ottanta da Eli Goldratt con l'obiettivo di stimolare una riflessione su temi cruciali per la gestione d'impresa.
Mi sembra che siano sempre attuali (in alcuni casi, come questa, profetiche) e come per gli articoli di Tony Rizzo ne pubblico la traduzione , fatta nei lontani anni novanta.
Personaggi e interpreti:
 Alex, è Alex Rogo il protagonista di 2 business novell scritte da Goldratt, la prima, conosciuta in tutto il mondo e persino tradotta in Italiano - The Goal - L'Obiettivo - dell'inizio degli anni '80, la seconda, molto meno conosicuta ma molto più rilevante nella storia della TOC - It's not luck, del 1994.
Jonah, amico e compagno di studi di Alex, di professione consulente, non da risposte ma fa solo buone domande.


"Non è sorprendente?"

"Cosa è così sorprendente?" chiede Jonah più per educazione che per reale interesse.

"La forza di un’affermazione di principio" rispondo con impazienza.

Il sopracciglio destro di Jonah si alza, chiara indicazione del fatto che non ha la benché minima idea di quello di cui sto parlando.

"La misura in cui una nazione può prosperare solo perché è determinata a seguire una breve frase," completo.

"Che c’è di tanto sorprendente ?" è la piatta risposta di Jonah. "Un obiettivo verbalizzato è sempre stata una delle armi più potenti nella storia delle nazioni."

Cosa si può dire dopo un commento simile? Rinunciando alla possibilità di avere una discussione animata stasera, rivolgo lo sguardo alle fiamme che danzano nel caminetto. Cinque minuti più tardi, Jonah rompe il silenzio. "Alex, che nazione e che tipo di frase hai in mente?"

"Giapponese, naturalmente."

"Sì, naturalmente. Mi sarei dovuto ricordare della tua fissazione per il Giappone. Vogliamo scommettere che la frase che hai in mente non è l’espressione di un obiettivo ma qualche logoro cliché del tipo ‘eliminare gli sprechi’?"

"No, Jonah." sorrido. "Ho imparato ormai che se ci si concentra a risparmiare un cent di qua e uno di là il risultato è il risparmio di due cent, niente di più. Questo non è certo il modo per fare fortuna nell’industria."

Jonah non sembra convinto.

"I prodotti giapponesi non sono più quelli maggiormente a buon mercato sulla piazza" gli ricordo. "Al contrario, sono piuttosto costosi. Inoltre, i salari in Giappone sono considerevolmente più alti dei corrispondenti in Europa e negli USA e negli ultimi anni il corso del cambio valutario si è volto contro di loro in modo significativo. Così l’unica conclusione ragionevole è che la gara in cui sono avvantaggiati non può essere quella a chi risparmia nelle spese di gestione ma deve essere qualcosa che impatta sulla capacità di aumentare il throughput. ‘Eliminare gli sprechi’ non può essere l’affermazione centrale. Quella a cui penso io è ‘le scorte sono una passività’."

"Proprio come pensavo" mormora Jonah tra sé.

Leggermente irritato continuo a condurre la discussione nella stessa direzione. "Il fatto che i giapponesi seguano religiosamente questa affermazione di principio è, ai miei occhi, la chiave del loro stupefacente successo."

"Davvero?" chiede Jonah.

Quanto odio questa parola! Quando Jonah la pronuncia, col suo accento israeliano, arrotando la ‘r’ ed enfatizzando la ‘e’ ‘davveeeerrrro???’ , vuol dire ‘hai assolutamente, completamente e decisamente torto e nei prossimi minuti te ne renderai perfettamente conto.’ Questa volta si sbaglia. Stavolta è caduto nella mia trappola. So che linea offensiva userà e sono pronto al contrattacco.

"Sì", dico con sicurezza " a dispetto di quello che tutti sostengono non è ‘qualità!’ , e posso provarlo facilmente. Negli ultimi anni i prodotti americani ed europei hanno colmato il gap qualitativo . Per la maggior parte dei prodotti il livello di qualità è pari se non superiore ma ciò nonostante la bilancia commerciale continua a pendere in favore del Giappone, esattamente come prima. Se questa non è una prova decisiva non so cosa possa essere. Come ho detto, la cosa che dà loro un vantaggio schiacciante è la salda convinzione che le scorte sono una passività" concludo in tono trionfante.


Jonah non sembra impressionato, ma al contrario addirittura divertito. Deve esserci qualcosa di sbagliato nel mio ragionamento ma dove? Scosso nella mia sicurezza, aspetto una risposta.

"Alex, non agitarti." dice con voce suadente. "E soprattutto non costruirti una trincea emotiva. Sono assolutamente d’accordo con te sul fatto che la qualità, benché sia un ingrediente importante, non costituisca la ragione principale del successo giapponese. Ma, se non sbaglio, il tema sul tavolo è se il modo di considerare le scorte rappresenti il nocciolo della questione o se, ancora una volta, sia solo una componente."

Vedendo la mia espressione continua precipitosamente " ti prego, non dirmi che hai già fatto tua questa frase. Non dimenticare che, come ‘qualità!’, anche ‘ le scorte sono una passività’ è un’affermazione che tutti rivendicano come loro."

"Benissimo" dico alla fine, quello che mi piace delle discussioni con Jonah è che lo scopo non è avere la meglio in una disputa o dimostrare chi è il più brillante ma acquisire una comprensione più profonda di un argomento. Così faccio rapidamente piazza pulita delle mie misere tentazioni egoistiche e aspetto con ansia di vedere come Jonah affonderà il suo scalpello logico nella materia della discussione.

"Penso che sarai d’accordo con me che è improbabile che un’affermazione sbagliata possa portare un intero paese alla prosperità. Abbiamo supposto che la frase ‘le scorte sono una passività’ sia la ragione fondamentale del successo giapponese. Quindi il minimo che dobbiamo fare è esaminare se questa affermazione sia o no errata."

"Come pensi di fare?"

"Per esempio, ponendo una domanda assolutamente ‘innocente’, del tipo ‘le scorte sono davvero una passività?’ "

"Ha senso" concordo. Un attimo dopo aggiungo "Non so ancora come andare avanti."

"Suppongo" dice Jonah "che dovremmo partire chiarendo a noi stessi cosa sia ciò che chiamiamo solitamente ‘passività’ e allora sarà facile estrarne la proprietà intrinseca che fa sì che ci riferiamo ad essa appunto come ‘passività’. Una volta identificata questa proprietà dovremo semplicemente verificare se le scorte la possiedono."

Annuisco.

"Cosa chiamiamo ‘passività’? L’unica cosa che mi viene in mente in questo momento è la barzelletta dell’ingegnere che costruisce i ponti e di sua suocera. Meglio che continui tu l’analisi. Ti spiace? "

"Assolutamente no" prendo la palla al balzo. "Un prestito dalla banca è passività, gli alimenti da pagare alla ex-moglie, qualsiasi cosa dobbiamo fare e non ci piace è una passività. Sono le catene che portiamo intorno al collo. Siamo sempre entusiasti all’idea di liberarcene. Se un banchiere mi chiamasse domani e mi chiedesse se sono d’accordo a che la banca cancelli i miei debiti, non avresti bisogno di essere un genio per conoscere la risposta. Sfortunatamente è assai improbabile che ciò accada. Questo dove ci porta? Oh, certo. Chi è che ci impedisce di liberarci dalle scorte? Di scagliarle domani mattina nel profondo dell’oceano? Naturalmente non ci sogniamo nemmeno di fare una cosa del genere. Niente scorte significa anche niente materia da lavorare e niente prodotti da vendere. Quante volte ho pregato di avere delle scorte per soddisfare un cliente che mi incalzava ululando! Inoltre, rinunciare alle scorte equivale a rinunciare a delle preziose attività, il che è stupido."

"Bene, bene." Jonah ride "Non dirmi che sei riuscito a convincerti che, tutt’ a un tratto, le scorte sono un’attività."


"Perchè no, questa è la categoria sotto la quale appaiono in sede di bilancio. E, come abbiamo concordato molto tempo fa, alla fine quello che conta è il risultato finale."

"Alex, stai parlando sul serio?"

"No, Jonah, sto scherzando. Stai tranquillo, non mi sono convinto che avere più scorte in magazzino sia meglio. Sappiamo benissimo che un eccesso di scorte riduce la capacità di competere sul mercato e di conseguenza il throughput futuro."

"Allora cosa sono le scorte? Attività o passività?" chiede Jonah.

"Secondo la nostra analisi, le scorte possono essere sia l’uno che l’altro. Quindi la vera questione dovrebbe essere : ‘quando sono attività e quando passività?’ Per rispondere a questa domanda dobbiamo ricordarci che lo scopo di avere scorte è solo proteggere il throughput. Allo stesso tempo sappiamo che un eccesso di scorte mette a rischio il potenziale per ottenere più throughput. Seguendo questi principi penso che non mi sarebbe troppo difficile delineare una procedura che possa distinguere le scorte tra attività e passività. Credo che sia importante stabilire una simile procedura, specialmente alla luce del fatto che le circostanze cambiano assai rapidamente nelle nostre organizzazioni. Perché non dedichiamo una sera a discuterne? "

Jonah non sembra sopraffatto dall’entusiasmo.

"Pensaci" dico dopo un po’. "C’è un altro punto molto importante collegato a questo. Oggi, nel bilancio di qualunque azienda, le scorte vengono registrate sotto le attività. Se questo però non è sempre vero, se concordiamo sul fatto che una considerevole porzione delle scorte sono effettivamente una passività, in che modo dovremmo gestire il corrispondente cambiamento richiesto nei report finanziari?"

"Questo è parlare " Jonah è di nuovo preso.

Vado alla carica pieno d’entusiasmo."Se un’azienda si libera di una passività riducendo il suo eccesso di scorte, sul risultato finale ciò non dovrebbe avere un effetto negativo ma piuttosto positivo. Sì, il cambiamento richiesto ha delle implicazioni serie."

"Come ad esempio?" Jonah mi incoraggia a continuare.

"Come le conseguenze sulle valutazioni di Wall Street e quindi sui top manager delle aziende le cui azioni sono trattate alla Borsa Valori. Come l’impatto sulle aziende che devono soldi alle banche. E - non meno importante- le implicazioni sulle tasse."

"Bene, " dice Jonah "forse dobbiamo dedicare una serata a discutere questi problemi."

"Decisamente. Ma, Jonah, vorrei prima mettere un punto fermo alla nostra discussione originaria. Ero piuttosto convinto di aver trovato il motivo centrale del successo giapponese ma adesso mi rendo conto che era solo un ingrediente tra i tanti. Facciamo il punto della situazione. Sappiamo che non è la manodopera a buon mercato, non è il cambio favorevole, non è decisamente l’aiuto del governo e non sono le barriere doganali. La conclusione a cui siamo arrivati stasera è che non è la campagna per ‘eliminare lo spreco’ , non è ‘qualità!’ e nemmeno la campagna per ‘ridurre il magazzino’- sono tutte componenti importanti ma non sono l’elemento centrale. Ma quello che sappiamo soprattutto è che il nocciolo della questione è qualcosa che è legato alla capacità di aumentare costantemente il throughput ."

"Sì, Alex, questo lo sappiamo bene. Hai una qualche vaga idea di cosa possa essere?"

"Neanche un indizio. " confesso "Quello che ho adesso è un mal di testa galoppante."

"Lo prendo come un segnale del fatto che ne abbiamo abbastanza" concorda di buon grado.

"Francamente sì. Ma dammi almeno un indizio, qualcosa a cui aggrapparmi in modo che possa continuare a pensarci per conto mio. Non stasera."

"La mia riflessione" risponde Jonah, " è la seguente: i giapponesi si sono liberati del modello obsoleto del cost accounting nella misura in cui hanno capito che il prezzo del prodotto è un concetto derivato dal costo del prodotto più il margine. Ciò di cui probabilmente si sono resi conto è che, da quando il concetto di costo del prodotto non si applica più alla nostra realtà, la nozione di un prezzo di prodotto dato, fisso, è altrettanto devastante."

"Tu lo chiami un indizio?!"

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