domenica 29 giugno 2014

Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare - ovvero come conciliare TOC - Theory of Constraints e Kaizen


KAIZEN è una espressione giapponese che significa MIGLIORAMENTO CONTINUO. Dal 1950 il mondo industriale giapponese ha “prodotto”, partendo dagli insegnamenti di scienziati del management, quali il dr. Deming, una serie impressionante di tecniche e metodi per il miglioramento continuo. Kaizen è uno di questi, ma anche TQM e più recentemente 6 Sigma si iscrivono in questo filone che possiamo chiamare genericamente come QUALITA’.


Il punto di partenza – quali problemi vogliamo risolvere


E’ normale che quando le condizioni lavorative e professionali diventano insoddisfacenti, le persone propongano qualche forma di miglioramento. Alcune volte questi miglioramenti non possono essere realizzati, magari perchè il capo non ne vuole sapere, o comunque per il fatto che per metterli in pratica c’è bisogno di qualche approvazione dall’alto.

Qual’è il clima ideale per il fiorire di idee di miglioramento? Dei capi che incoraggino i propri collaboratori a sviluppare idee di miglioramento e che sappiano apprezzare e riconoscere l’impegno che le persone profondono nel cercare di migliorare.

Ma, c’è sempre un ma sospeso nell’aria nelle organizzazioni, la vita non è facile. I capi hanno la pessima abitudine di fare domande e/o obiezioni “assurde” come “se non è guasto perchè lo dovremmo sostituire (riferendosi a un pezzo o a un macchinario)”, oppure “la procedura è ok per me, perchè dovremmo cambiarla”.

Ci si trova dunque in una posizione scomoda; se realizzate il cambiamento, il capo vi darà addosso, ma se non lo fate la condizione lavorativa e professionale rimarrà insoddisfacente.

I capi in genere non sono disposti a dare una chance, per molte o nessuna ragione; comunque sia ci si trova bloccati. I capi, malgrado incoraggino le persone a proporre miglioramenti, poi trovano sempre una serie di “buone ragioni” per lasciare le cose come stanno.

Tutti conosciamo bene queste “buone ragioni”:

  • Il capo è troppo preso da altre cose per analizzare le proposte di miglioramento
  • La proposta è una buona idea, ma i tempi non sono maturi
  • Non è previsto nel budget
  • La teoria è una cosa, ma la pratica è tutta un’altra cosa
  • Non c’è altro di cui occuparsi, secondo te?
  • Penso che non sia coerente con le politiche del corporate (della proprietà, della capo gruppo)
  • È fuori dal nostro business (dal nostro ambito), ci penserà qualcun altro
  • Sei così insodisfatto del tuo lavoro?
  • Si sa già come finirà, anche se non lo facciamo veramente
  • Puoi pensare qualcosa di meglio di questo?

Molte volte la risposta dei capi è una combinazione di una o più di queste buone ragioni; prima di dare addosso ai capi pensiamo a che cosa fate voi quando un vostro collaboratore viene a proporvi un qualche miglioramento!

In una organizzazione inefficiente tutti tendono ad avere la loro lista privata di “buone ragioni” per non cambiare.

La lista si allunga all’infinito, questo accade ogni giorno nelle organizzazioni. I capi cioè scoraggiano i collaboratori e questi ultimi diventano ben presto scettici sulle reali possibilità di miglioramento e smettono di essere propositivi. L’organizzazione a sua volta si siede sulla abitudini correnti.

Qualche volta i capi, consapevoli di questo immobilismo, per realizzare un salto di qualità comprano una nuova macchina, cambiano il layout produttivo, qualcuno addirittura ingaggia un branco di consulenti per dare una spinta decisa. Cambiano ogni cosa tranne il loro atteggiamento. Questo è il punto. Il cambiamento e il miglioramento devono iniziare dall’alto, dai capi; la prima cosa da cambiare è il loro atteggiamento nei confronti dei loro collaboratori. 

In tutti gli approcci figli della QUALITA’ (Kaizen, TQM, eccetera) la priorità numero 1 è l’impegno e la determinazione dei capi nel miglioramento.

Questa è una fotografia, magari non brillante ma di sicuro precisa della realtà di molte aziende. Tutti gli approcci al miglioramento continuo partono dalla constatazione che questa è la realtà che si vuole cambiare.

Le linee guida del miglioramento


Quali sono le linee guida, quali i punti principali dell’agenda del “miglioramento continuo”, i precetti da seguire. Prendendo a riferimento il Kaizen troviamo:

  • Abbandonare le idee tradizionali (preconcette)
  • Pensare a come fare piuttosto ai motivi per cui una cosa non può essere fatta
  • Non accampare scuse, cominciare a mettere in discussione le prassi correnti
  • Non cercare la perfezione prima di intraprendere qualcosa di nuovo
  • Fare e Correggere gli errori man mano che si fanno
  • Usare il buon senso per il miglioramento continuo
  • Chiedersi 5 volte perchè e cercare le cause di fondo
  • Cercare il buon senso di 10 persone invece che la conoscenza profonda di una sola
  • Le idee di miglioramento continuo sono infinite (non smettere mai)

Nessuno mette in discussione che questi punti debbano stare nell’agenda di tutti coloro che cercano il miglioramento. Ma tra il dire e il fare di solito c’è di mezzo il mare. E il mare in questione si chiama COME.

E’ probabile che leggendo fino a qui vi siate detti “certo, è tutto vero, tutto giusto, ma poi come.. come si fa a convincere, come si decide quale è meglio, come, come...”

Per colmare questo vuoto ci serve un mare di conoscenza, non basta il buon senso. Non è vero che il buon senso è sempre sufficiente.

Ci accorgiamo tutti i giorni che per tradurre in realtà i suggerimenti di buon senso e applicare le tecniche previste, ci servono strumenti più potenti in grado di farci capire più a fondo e più precisamente:

  • quali sono le idee tradizionali da abbandonare. Infatti non tutte le idee tradizionali sono da abbandonare, solo quelle che generano immobilismo nell’organizzazione.

  • Quali sono le prassi correnti da mettere in discussione

  • Quali sono le cause di fondo che generano condizioni lavorative e professionali insoddisfacenti

  • Quali sono le azioni che rimuovono queste cause di fondo

  • Come mettere d’accordo il buon senso di tante persone, diverse tra loro, ognuna con il suo personale buon senso

  • Come realizzare i cambiamenti (cioè passare da una fase di enunciazione di problemi e soluzioni a una fase di attuazione pratica) senza compromettere il normale andamenrto dell’organizzazione.

  • Come pianificare e controllare tutto questo lavoro

Dove li troviamo tutti questi strumenti? Nell'arsenale della TOC -Theory of Constraints, si chiamano Thinking Processes Tools , si possono imparare; per imparare la meccanica dei TP tools  servono 2 giornate di formazione, per imparare a utilizzarli al meglio non basta tutta una vita. 

E' come per la bicicletta, vi possono spiegare quali sono i componenti di una bicicletta (telaio, ruote, manubrio, cambio, freni), vi possono spiegare come ci fa a andare (euqilibrio, pedalare, frenare, piede a terra, mani sempre sul manubrio, ecc.), ci vuole poco tempo. Ma questo non è sufficiente per dire "so andare in bicicletta", dovete andarci molte e molte volte, con diverse condizioni di terreno e atmosferiche, distanza e compagni diversi. E dopo anni di bicicletta avrete ancora molto da imparare. Così è per la TOC.


sabato 7 giugno 2014

Late Night Discussion #3 - Il significato dei prezzi di trasferimento


Le Late Night Discussion (conversazioni a tarda ora) sono una raccolta di articoli scritti verso la fine degli anni ottanta da Eli Goldratt con l'obiettivo di stimolare una riflessione su temi cruciali per la gestione d'impresa.
Mi sembra che siano sempre attuali (in alcuni casi, come questa, profetiche) e come per gli articoli di Tony Rizzo ne pubblico la traduzione , fatta nei lontani anni novanta.
Personaggi e interpreti:
 Alex, è Alex Rogo il protagonista di 2 business novell scritte da Goldratt, la prima, conosciuta in tutto il mondo e persino tradotta in Italiano - The Goal - L'Obiettivo - dell'inizio degli anni '80, la seconda, molto meno conosicuta ma molto più rilevante nella storia della TOC - It's not luck, del 1994.
Jonah, amico e compagno di studi di Alex, di professione consulente, non da risposte ma fa solo buone domande.



"Jonah più di una volta mi hai detto che se ci fossimo voltati indietro avremmo visto che abbiamo appena scalfito la superficie. Non che non sia d’accordo con te, ma penso che dovremmo testare logicamente la tua ipotesi."

"Bene" mi dice "va sempre bene sottoporre le opinioni consolidate a nuovi test. Ovviamente solo nel caso in cui I nuovi test siano significativi; altrimenti questo esercizio tende a diventare una sofisticata forma di procrastinazione"

Magnifico, non so come accade, ma ancora prima di iniziare sono già in un inghippo. Adesso tutto d’un tratto è compito mio trovare un test significativo.

Jonah mi sta guardando ma io sono bloccato sulla parola – significativo -. Dopo un po’ egli mi dice "Alex, perché non consideri un punto che sia, almeno dal tuo punto di vista, relativamente importante e nello stesso tempo ritieni sia già stato sviscerato alla morte."

Questo mi aiuta. "Le misure ", dico baldanzosamente. Jonah sembra un tantino divertito. "Le misure sono senza dubbio un argomento decisamente impotante. Dimmi come ti misurano e ti dirò come ti comporterai, recita un famoso adagio. Ma Alex, che cosa ti fa credere di poter scalfire più di un poco questo soggetto?"

Adesso sono sorpreso. "Ho dedicato giorni interi a discutere quali dovessero essere le misure da fare in un’azienda. Discussioni senza fine, rimbalzando tra la definizione di misura e di obiettivo, condizioni necessarie e utile netto. Abbiamo martellato fino alla nausea l’uso delle misure per giudicare ogni tipo di decisione e di azione. Abbiamo perso il conto delle discussioni che abbiamo avuto sul concetto di ‘ misura delle prestazioni locali’ cercando di distinguere accuratamente I programmi e l’esecuzione degli stessi. E adesso mi vieni a dire che tutto ciò è solo scalfire l’aergomento?"

"Certo" risponde "Alex, non dovremmo giudicare sulla base del numero di ore che abbiamo speso ma dalla rilevanza e dalla qualità delle conclusioni cui siamo arrivati. Inoltre noi non abbiamo nemmeno esaminato tutti I punti che potrebbero essere esaminati"

"Tu pensi alle misure per le organizzazioni non profit? Ma noi ne abbiamo discusso."

"In un modo decisamente artificioso." Egli commenta e continua "Alex, vuoi smettere per favore di congraturarti da solo. Svegliati. Anche per le organizzazioni non profit abbiamo praticamente trascurato di discutere importanti misure." Adesso mi lancia la palla. "Fammi almeno un esempio." Dico gettando la spugna. "I prezzi di trasferimento," replica Jonah.

"Che cosa hanno a che fare I prezzi di trasferimento c
on le misure?"

"Un sacco di cose" è la sua laconica risposta. Dopo un po’, e probabilmente a causa del mio ostinato silenzio, Jonah continua "Hai ragione. Non avrei dovuto usare il nome della mezza soluzione comunemene usata, piuttosto avrei dovuto citare il problema di misurazione"

"Questo certamente avrebbe aiutato" non posso trattenermi dal dire. Jonah fortunatamente ignore il mio ultimo acido commento e con calma continua "immagina una azienda relativamente grande che ha diverse unità produttive che contribuiscono alla realizzazione di un unico prodotto. Naturalmente ci sono dei trasferimenti di beni non solo tra l’azienda e il mondo esterno ma anche tra le diverse unità produttive. In questo tipo di ambiente come suggerisci di misurare le prestazioni di ogni unità produttiva?" Mi passa la palla di nuovo. E’ un punto molto importante che non avevamo toccato.

"Jonah hai senza dubbio colpito nel segno. Anche se eravamo convinti di aver esplorato a fondo un argomento non avremmo dovuto pensare di averlo esaurito. Ma visto che siamo in tema di prezzi di trasferimento, perché non ne discutiamo un pochino?" "Sii il mio ospite", dice Jonah gesticolando.

Ancora una volta la palla è nella mia metà campo; potrei essere usato al suo posto da adesso.

"Lasciami iniziare chiarendo a noi stessi la natura del problema."

"Questo è sicuramente un modo molto buono di cominciare." Dice Jonah con un sorriso di approvazione.

"Noi vogliamo senza dubbio misurare le prestazioni di una unità produttiva. La difficoltà nel farlo, nel nostro caso, sta nel fatto che alcune unità produttive trasferiscono prodotti semilavorati e non prodotti finiti. Questo induce il problema di stabilire un prezzo di vendita/acquisto tra le unità produttive o come è comunemente detto prezzo di trasferimento."

"E quando è possibile acquistare questi semilavorati all’esterno non si ha ancora lo stesso problema?"

"sì certamente," accetto la precisazione di Jonah. "anche quando si ha a che fare con prodotti finiti si ha lo stesso problema. Il prezzo di vendita è determinato attraverso delle negoziazioni, mediante il bilanciamento tra il bisogno percepito e la disponibilità. Nel nostro caso, di trasferimento tra unità della stessa azienda, il bilanciamento fatto dal mercato non esiste. Questo accade perché le aziende sono solite usare prezzi di trasferimento prederminati internamente. Questo è un tema rischioso. Se stabiliamo dei prezzidi trasferimento elevati l’unità che produce il bene fiorirà come una rosa menter quella che riceve il bene si ritroverà nel guano. Se stabiliamo dei prezzi di trasferimento bassi, accadrà l’esatto opposto."

"Giusto," dice Jonah prendendo in mano il palllino. "La misura delle prestazioni di ogni unità produttiva diventa non una funzione della loro performance corrente ma piuttosto una funzione della scelta arbitraria fatta sui prezzi di trasferimento. Alla base di tutto non dimentichiamoci del problema ulteriore di stabilire quando avviene la vendita interna. " Anche se non ho capito completamente il suo ultimo commento non posso fare a meno di prenderlo in giro. "Aspetta un attimo Jonah, perché dici che il modo di stabilire il prezzo di trasferimento è una scelta arbitraria? Per quanto ne so un sacco di aziende stanno facendo molti sforzi per calcolarlo nella maniera più precisa possibile."

"Come lo calcolano?" ribatte con un sogghigno.

"Certamente usando la contabilità dei costi." Rispondo allegramente.

Mi lancia un’occhiata di disgusto, ma è in trappola, deve continuare la discussione. "Questo è esattamente quello che io intendo per scelta arbitraria"

Non posso fare a meno di ridere. Conosco fin troppo bene il punto di vista di Jonah sulla contabilità dei costi. Questo lo convince. Adesso sono ansiosamente in attesa di un lungo e maligno attacco alla contabilità dei costi, con un’enfasi particolare sulla futilità dei tentativi di dterminare il prezzo di vendita mediante il calcolo del costo del prodotto. Jonah non fa nulla di tutto questo, si calma e dice,

"Alex non hai compreso che determinare il prezzo di trasferimento mediante il calcolo dei costi incoraggia l’inefficienza?"

Dopo un momento vede che sto ancora pensando al suo ultimo commento, "determinare il prezzo di trasferimento mediante il calcolo dei costi porta al desiderio di aumentare I costi di produzione riducendo I non vincoli. Con questo trucco devastante una unità interna può migliorare drasticamente le proprie prestazioni a scapito del risultato complessivo dell’azienda."

"Sì, sono d’accordo su questo punto" e adesso mi viene in mente "Ciò accade perché ultimamente, visto che la contabilità non è più la vacca sacra di un tempo, le aziende hanno cominciato a coinvolgere in questo problema le forze del libero mercato." "Dai elabora il concetto," mi incoraggia Jonah. "Ultimamente molte aziende hanno concesso alle loro unità produttive una libertà senza precedenti. Permettono a queste unità di comprare componenti all’esterno anche quando gli stessi componenti sono prodotti da unità sorelle. Queste unità sorelle non hanno più a disposizione un mercato interno captive. Anche internamente devono competere con l'esterno. Allo stesso modo le unità la cui produzione era dedicata esclusivamente al mercato interno interaziendale sono spronate a vendere I prodotti direttamente sul mercato finale. Le aziende automobilistiche sono un esempio lampante della velocità e della portata con cui questo metodo si sta diffondendo e queste aziende non sono le sole ad adottarlo."

"Sì." Jonah è d’accordo, ’ma il modo con cui viene implementato mi fa temere che ancora una volta noi siamo di fronte ad una situazione nella quale la cura è peggiore della malattia." Adesso tocca a me dire "Dai elabora il concetto". Lui mi ignora e mormora tar se e se, "Sono meravigliato perché la gente ha la tendenza di passare da un estremo all’altro." "Jonah" grido con voce squillante tentando di strapparlo dal suo guscio. "Da quale estremo a quale estremo?" gli chiedo disperatamente, quanto basta per avere la solita risposta "cerca di analizzarlo da te stesso."

Bene, che cos’altro mi rimane da fare? Così lentamente cerco di sbrogliare la matassa. "Quale estremo abbiamo usato nel passato? Abbiamo stabilito I prezzi di trasferimento solo sulla base di considerazioni interne, considerando I nostri costi, e ignorando il resto del mondo. E adesso cosa facciamo? Permettiamo libero mercato tra le unità produttive interne. Non mi sembra un estremo ciò. Jonah! Jonah!"

"Alex, tu dimentichi che queste unità produttive appartengono ad una unica azienda." Lui dice con voce impaziente.

"Ma sicuro. Se si consente alle unità interne di fare liberi scambi con l’esterno, possiamo mandare facilmente in rovina l’azienda. Immagina di decidere che ogni parte che sia acquistabile ad un prezzo inferiore a quello di produzione venga comprata all’esterno e di conseguenza si tagli il reparto che la produce. Possiamo tagliare I posti di lavoro ma come facciamo a tagliare I macchinari o la conoscenza. Andando in questa direzione non faremo altro che aumentare I prezzi interni dei prodotti rimanenti. Questi dovranno caricarsi sulle spalle il peso che prima era suddiviso con I prodotti che abbiamo deciso di comprare all’esterno. E’ molto facile vedere che questa strada conduce a un rapido ridimensionamento, prima alla chiusura degli impianti dei componenti, poi a quelli di assemblaggio e infine non ci rimane che un’azienda di compravendita. Come chiamiamo il risultato? La sindrome dell'azienda svuotata?"

"… allo stesso tempo, come possiamo giustificare un’unità che contribuisce a eliminare una unità sorella a valle solo perché qualcuno (probabilmente il concorrente) offre 2 centesimi in meno al pezzo. La libertà totale di compravendita con il mercato esterno impedisce alle aziende di far fruttare e capitalizzare la forza insita nella sua struttura verticale. Sembra come una situazione nella quale non ci sono alternative, e piuttosto che scansare il colpo, si tenti di risolvere il puzzle di trovare una misura appropriata per le unità interne. Alla fine, che senso hanno le misure se non quello di far si che le singole unità facciano ciò che è bene per l’intera azienda?"

"Sembra che non ci sia un modo adeguato di fissare I prezzi di trasferimento. Dobbiamo ancora mantenere dei prezzi interni? Dobbiamo usare il dollaro come misura o può esserci un altro meccanismo? E che cosa diciamo sulla questione di determinare quando la vendita è avvenuta? Domande, domande. C’è una soluzione pratica? Io conosco la risposta, ‘ c’è sicuramente ma al fine di trovarla devi verificare gli assunti di base’. Così Jonah proviamo adesso. Jonah, ehì Jonah!"

Da ora la mente di Jonah non è più in questa stanza. Mi devo ricordare di tampinarlo su questo argomento un’altra volta.