sabato 1 novembre 2014

Applicare la TOC - teoria dei constraints - in un ambito di produzione - episodio 2

Pezzullo un po' vintage, perchè scritto quasi vent'anni fa, ma che è ancora attuale.
Nell'episodio 1 abbiamo mostrato quale approccio alla produzione è stato sviluppato dalla TOC (teoria dei constraint) e quali risultati ha prodotto. 

In questo - episodio 2 - si discuterà delle barriere che si oppongono al cambiamento in ambito produttivo e di come la TOC può essere utilizzata per superarle.


Quando si tenta di mettere in pratica questo approccio, ci si trova di fronte un conflitto, quasi inevitabilmente. Le misure che comunemente vengono utilizzate dal management per valutare le prestazioni di un impianto fanno a pugni con la necessità di soddisfare i requisiti dei clienti. Il management trova molto difficile subordinare le azioni al conseguimento dell’obiettivo (cioè sul constraint), cercando di prestare uguale attenzione alle mille difficoltà e problemi che si presentano ogni giorno nell’impianto; l’assunto che sostiene che questo atteggiamento è esprimibile così: per ottenere l’ottimo globale occorre raggiungere tutta una serie di ottimi locali.

La situazione di questa categoria di manager è rappresentabile da questo piccolo albero della realtà corrente (nell’albero della realtà corrente ogni blocco è connesso a uno o più blocchi da relazione di sufficienza e/o necessità – dove si vede un ellisse -, l’albero si legge a partire dal basso, per esempio i blocchi 10, 50 e 15 si leggono così: se la gran parte dei manager gestisce gli impianti cercando di raggiungere ottimi locali allora ottenere un elevata efficienza locale è importante per i manager e i manager non sono completamente padroni dell’approccio TOC alla produzione…). L’albero della corrente è uno degli strumenti di pensiero sistemico ideati da Goldratt per supportare il cosiddetto POOGI (process of ongoing improvement – processo di miglioramento continuo)




Il conflitto che c’è alla base di questa situazione è rappresentabile con la nuvola (la nuvola è il meccanismo con il quale nella TOC si rappresentano i conflitti tra due posizioni) qui sotto riportata.




Questo conflitto si regge su di un assunto preciso, che possiamo anche riformulare dicendo che solo raggiungendo la massima efficienza di ogni macchina è possibile consegnare quanto i clienti ci hanno ordinato. I risultati non propriamente positivi che si raggiungono perseguendo l’efficienza di solito vengono attribuiti ad una serie di cause:


·      i clienti cambiano idea di frequente
·      i venditori promettono sempre tempi di consegna istantanei
·      ci sono problemi di assenteismo nel personale
·      il personale non ha gli skill necessari
·      i processi sono affetti da scarsa affidabilità
·      le macchine si rompono quando meno se lo si aspetta
·      la qualità dei prodotti non è il massimo
·      i dati che vengono forniti al management sono poco accurati
·      il management non sempre può adottare le politiche che vorrebbe


Tutte queste cause sono vere, ma, purtroppo per chi deve gestire gli impianti, non sono il problema centrale.

Tutte queste cause sono vere, ma, purtroppo per chi deve gestire gli impianti, non sono il problema centrale.
Nell’approccio TOC (drum buffer rope) il focus si sposta da domande del tipo: Com’è l’efficienza delle macchine, e quella delle persone, quanti setup si fanno, quanto grandi facciamo i lotti di produzione, e quelli di trasferimento? A tenere costantemente sotto controllo il buffer, di modo che ci si possa accorgere in tempo se il constraint rischia di rimanere senza materiale da processare.

Cos’è il buffer management? Dividiamo idealmente il buffer, che come sappiamo è espresso in tempo, in 3 zone di uguale dimensione:





 
In zona verde se il materiale è in ritardo devo solo verificare che arrivi, in zona gialla comincio a preoccuparmi del materiale in ritardo e si farà un po’ di expediting. Se si è in zona rossa (quindi molto vicini al momento in cui il materiale deve essere pronto) e il materiale è in ritardo, ci si ritrova con un buco (di produzione)

Gli impianti o per meglio dire i processi produttivi possono essere catalogati in 4 fondamentali tipologie: impianto ad A, a T, a V a I.
Ogni "stabilimento" è in effetti costituito da un mix particolare di una o più di queste 4 tipologie base.

Nel gergo della TOC (Teoria dei constraints) con il termine UDE (undesiderable effect) si indicano i problemi, quelle cose che disturbano il buon andamento di una qualsiasi realtà produttiva (sia esso uno stabilimento, che un ufficio viaggi). Questi "effetti indesiderabili" sono i sintomi di un problema più profondo e difficile da superare (che in gergo TOC si chiama core problem); un po' come la febbre è un sintomo di una qualche malattia. E come ogni buon medico sa, combattere i sintomi è sicuramente importante (specie quando la febbre è alta) ma è inutile se non si rimuove la "malattia"; una corretta diagnosi è la premessa indispensabile per una buona terapia. Il grande pregio del core problem è che essendo connesso logicamente a tutti gli UDEs, se lo si elimina si possono eliminare tutti gli UDEs.

La TOC mette a disposizione uno strumento potente con il quale si possono rappresentare tutti gli UDEs di una determinata realtà e quindi derivarne il core problem. Questo strumento si chiama CRT - current reality tree (albero della realtà corrente). In questo contesto non entreremo nel merito di come si costruisce ma ci limiteremo a descriverlo brevemente per essere in grado di leggere alcuni CRT che rappresentano la realtà delle  tipologie base di impianti.

Il CRT è un diagramma nel quale ogni UDE, rappresentato da un box, è connesso logicamente con uno o più altri UDE. Una volta derivato nel CRT è rappresentato anche il core problem; è riconoscibile perché è il box a cui, direttamente o indirettamente sono connessi tutti gli altri box.

Poter descrivere le problematiche comuni (UDEs) delle tipologie di base degli impianti attraverso un CRT consente di focalizzare rapidamente l'attenzione sul core problem e quindi di (avendo una corretta diagnosi) impostare la soluzione.

Un impianto a V presenta generalmente le seguenti caratteristiche:

·      ci sono poche materie prime/semilavorati che danno origine a un grande numero di prodotti finiti; in ogni stadio del processo un “prodotto” dà origine a molti prodotti.

·      tutti I prodotti sono realizzati nella stessa maniera e condividono delle risorse comuni

·      ci sono punti di divergenza nel flusso produttivo; dopo una lavorazione non si può tornare indietro (se si sbaglia non si può né riutilizzare né rilavorare)

In molti casi gli impianti a V sono ad alta densità di capitale con macchinari specializzati.

Quali sono gli UDEs, i problemi, che si trovano generalmente in un impianto a V? Elenchiamone un po’:

1.       i piani di produzione spesso subiscono variazioni;
2.       non sempre è possibile stabilire la convenienza di accettare/rifiutare un ordine;
3.       esistono conflitti tra le richieste dell’ufficio vendite e le disponibilità della produzione;
4.       lunghi tempi di attrezzaggio;
5.       il tempo di attrezzaggio di una macchina non è sempre “economicamente giustificato” dall’utilizzo della macchina stessa;
6.       il fermo macchina per l’attrezzaggio rappresenta un costo elevato;
7.       non è sempre possibile produrre in grandi lotti;
8.       pur massimizzando l’efficienza delle macchine non sempre siamo in grado di evitare ritardi nelle consegne.
9.       la qualità delle materie prime è molto disomogenea ;
10.  le materie prime rilasciate al processo per soddisfare un determinato ordine  hanno una bassa probabilità di completare questo ordine, probabilità che è tanto più bassa quanti più punti di divergenza ci sono nel sistema
11.  se un prodotto può risparmiare un setup e vengono prese misure che rinforzano questo comportamento la materia prima attraversa questo processo
12.  I prodotti tendono a dirigersi dove I risultati sono migliori (risultati come tonnellate al giorno, unità all’ora, cioè più prodotti per unità di tempo)

L’effetto complessivo di tutte queste cose è la cattiva allocazione dei materiali, aspettiamoci di vedere mucchi di cose (che non si muovono) e piccole quantità di cose (che si muovono), l’ordine di grandezza dei problemi dipende dal sistema d incentivi che viene utilizzato nell’azienda.

I problemi generati da questa realtà, esistono contemporaneamente e non è sufficiente eliminarne uno per migliorare significativamente i risultati aziendali.

Questi problemi, gli effetti indesiderabili presenti nella nostra realtà, sono spesso originati da una causa comune, da un problema centrale; questo, a volte, non è immediatamente visibile, è piuttosto da ricercarsi nella relazione che esiste tra gli effetti indesiderabili.

Questo avviene a causa della natura squisitamente sistemica delle organizzazioni. Infatti una organizzazione è una rete di elementi interdipendenti che interagiscono tra loro per il raggiungimento di un obiettivo comune. Tale natura sistemica fa si che agendo su una parte dell'organizzazione si producono effetti su tutto l’insieme.

Il disegno seguente, un albero della realtà corrente costruito sul conflitto fondamentale, mostra tutte queste interconnessioni in modo semplice e intuitivo


 
Il secondo albero che presentiamo affronta il tema della misurazione delle prestazioni. Mostra in sostanza come l’avere adottato dei sistemi di misura centrati sull’efficienza locale determini l’accadere di una miriade di effetti indesiderabili. L’albero si riferisce al settore dell’acciaio, ma è generalizzabile per tutti i settori dove gli impianti hanno una forma a V.

Proviamo a leggerlo insieme.

Si parte con la constatazione che nell’industria dell’acciaio, ogni reparto è valutato in base alla quantità di tonnellate processate per ora. La misura tonnellate/ora è la misura operativa principale (500)

Sappiamo tutti che le persone si comportano conformemente al modo in cui sono misurate (510) e quindi nell’industria dell’acciaio, non c’è da stupirsi se i reparti cercano di ottimizzare il loro rendimento in termini di tonnellate/ora (515)

Questa conclusione dove ci porta? Presa in se stessa potrebbe essere sensata ma se la mettiamo in relazione con altri fenomeni che si verificano in questo tipo di industria scopriamo che non è così.

Infatti: in quasi tutti reparti la lavorazione di alcuni pezzi richiede meno tempo per tonnellata rispetto ad altri (520). Per esempio, produrre 10 tonnellate di lastre spesse 2 pollici richiede assai meno tempo che produrre 10 tonnellate di lastre spesse 1/2 pollice

Ne risulta che: per ottimizzare la quantità di tonnellate/ora prodotte in un dato periodo, i reparti tendono a produrre i pezzi più “veloci” spendendo gli stessi soldi che occorrono per produrre i pezzi “lenti”(540).

La conclusione è facilmente immaginabile: grandi scorte di pezzi “veloci”, perdita di ordini sui pezzi “lenti”.

Se guardiamo ad un altro aspetto del problema vediamo che nell’industria dell’acciaio, in ogni reparto i tempi di setup sono significativi e, come sappiamo, il setup riduce la quantità di tonnellate/ora (525), infatti mentre si fa il setup la produzione è = 0 (530). Di conseguenza, per ottimizzare il rendimento in termini di tonnellate/ora, i reparti tendono a dare la precedenza agli ordini che permettono di aumentare la dimensione dei lotti (550)

Anche in questo caso: grandi scorte inutili, inaffidabilità rispetto ai tempi di consegna.

Per un reparto, la situazione peggiore è l’inattività -non produrre = 0 tonnellate/ora (525). Non c’è da meravigliarsi che, per ottimizzare il rendimento in termini di tonnellate/ora, i reparti tendano a produrre scorte anche quando non ci sono richieste di mercato nel breve-medio periodo (545), producendo scorte in eccesso.

Ma il vero killer si profila all’orizzonte... Negli impianti a V, il processo produttivo è caratterizzato da divergenza di prodotti ad ogni stadio della produzione (560). Se mettiamo in relazione quest’affermazione con i fenomeni che abbiamo descritto in precedenza (enunciati 540, 545 e 550), cosa otteniamo?

Per ottimizzare il proprio rendimento in termini di “tonnellate/ora” i reparti tendono a intraprendere azioni che si risolvono poi in “furto” di materiale a scapito degli ordini




 


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